Da tempo è invalso l’uso di denominare “evento” anche iniziative banali e spicciole. L’amplificazione del linguaggio rientra nella necessità di toni sempre più alti per attirare l’attenzione, del gonfiare le notizie, di rendere sempre più appariscenti comunicazione e comunicatori. L’elezione di un papa è certamente un evento degno di questo nome. Che, proporzionalmente, ha scatenato un assurdo delirio mediatico: precedente, concomitante e susseguente. In questo bailamme la sobrietà del tratto personale di papa Prevost è un’oasi di refrigerio.

Alcuni segni di ritorno alla normalità istituzionale

Quali le prime impressioni? Chi ha amato e apprezzato particolarmente papa Francesco e il suo modo di esercizio del ministero petrino era consapevole che non avrebbe potuto aspettarsene una seconda edizione, solo con piccoli ritocchi.  Il nuovo papa è il successore di Pietro, non del papa precedente. E, del resto, nessuno avrebbe potuto “scimmiottare” Francesco senza esserlo. Sarebbe stato ridicolo cercare di imitarne lo stile in modo esterno. 

Che il “ritorno alla normalità” istituzionale da parte del nuovo papa si esprimesse in modo meno massiccio avrebbe tuttavia fatto piacere. Per esempio: la stola è accettabile; è un indumento liturgico; la mozzetta no: è un indumento puramente tradizionale, non della Tradizione, ma delle “tradizioni di uomini” la “vostra tradizione, che voi vi siete tramandata” (Marco 7,13); altrettanto la scelta della croce d‘oro di papa Ratzinger. Riprendere questi segni dopo che papa Francesco li aveva spazzati via acquisisce un significato diverso rispetto a quando altri papi li avevano semplicemente accettati.

Anche negli accenti del discorso, il peso messo sulla pace è stato messo in senso molto verticale, cristologico, in un tono e stile che riecheggiavano quelli di papa Wojtyła. Il peso è stato messo meno in un senso “orizzontale”, immediatamente comprensibile a chi non condivide la fede cristiana. La Chiesa in uscita di Francesco, che si presenta innanzitutto nella umanità e per l’umanità, è ridiventata la Chiesa in cerca del suo proprio centro, solo a partire dal quale ed esplicitamente in nome del quale “esce”. La Chiesa ospedale da campo è diventata la Chiesa che chiama ed è chiamata a tornare alle fonti, a lasciarsi evangelizzare, a tornare al nucleo centrale della confessione di fede; non sottolineando, almeno non immediatamente e non con altrettanta forza, il criterio del giudizio escatologico, come si trova al capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo: “quello che avete fatto a ognuno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (25,40); una affermazione non di semplice esortazione morale e spirituale, bensì di poderosa portata teologica e cristologica. Tale tendenza è stata ribadita nella prima omelia, che ha accentuato il pericolo di vedere in Gesù solo la sua umanità. Le due prospettive non sono alternative: per i cristiani sono due facce della stessa medaglia. Si tratta di privilegiare una comunicazione comprensibile a tutti o comprensibile in primo luogo ai cristiani. Così pure la forte sottolineatura del culto mariano, in un momento così solenne, è un segno fortemente identitario cattolico, non condivisibile con tutti i cristiani.

Altrettanto il linguaggio, che ha focalizzato prima di tutto e fortemente il “papa” (culminando nel gesto: la scelta della indulgenza plenaria) e poi, abbastanza avanti nel discorso, il “vescovo di Roma”. Esattamente il contrario di Francesco (e della “lettera” ecclesiologica). Gli “ultimi” di Francesco sono diventati “coloro che soffrono”. Uno spostamento di accento, non un abbandono di attenzione. Ma uno spostamento, sì.

Riunire le anime, evitare gli scismi pratici

I tradizionalisti sono stati rassicurati da questa comunicazione simbolica, che non si può peraltro declassare a mera cornice. Sono solo “offe” per tacitarli e rassicurarli? Può darsi. Ma tali scelte sembrano anche esprimere la preoccupazione di “riunire” le anime divise della Chiesa, di non allontanare quei “fedelissimi” che, in nome della loro fedeltà, adombrano non di rado la minaccia di uno scisma.

Solo che, fuori dal collegio dei cardinali, tra i battezzati (e le battezzate) e anche tra presbiteri e vescovi c’è un’anima di Chiesa che non si sente compresa e rappresentata. Che si sente “scismatizzata” suo malgrado, non venendo a sufficienza ascoltata e riconosciuta. Papa Francesco non ha sciolto fino in fondo i nodi, ma ha avviato processi, ha socchiuso la porta e anche qualche cosa di più. Ha preso iniziative innovative, ha dato segnali molto forti di rendersi conto che non c’è solo da difendersi dallo scisma dei reazionari; c’è da evitare di scismatizzare un’altra, opposta, parte della Chiesa.

Ora alcuni commentatori cominciano a qualificare come “fughe in avanti”, destabilizzanti, quelli che ad altri sono apparsi come i primi, prudenti e ben ponderati, passi di Francesco per sciogliere una glaciazione ecclesiale che perdura[va] da troppo tempo.  Nessuno dubita – almeno non certo chi scrive – della autenticità e trasparenza della disposizione del nuovo papa, della sua profonda interiorità, della sua dedizione al Signore, al servizio del Vangelo, della Chiesa, e della umanità. Neppure della sua bella sensibilità e carica umana, della sua umiltà autentica, della sua mitezza, del suo desiderio di dialogo, apertura, cammino insieme, sinodalità.  Neppure del suo personale affetto e apprezzamento per papa Francesco. Anche questo è emerso e si è percepito, oltre ad essere noto e attestato da una bella storia personale generosa e limpida. Tuttavia, bisogna aspettare a vedere quale linea sarà seguita e attuata concretamente.

Una tradizione lunga e un augurio

Nel nome di papa Leone XIV, esplicitamente richiamantesi ai grandi papi dello stesso nome (tra essi: San Leone Magno, che fermò Attila, nel V secolo; San Leone IV che nel IX secolo costruì le mura leonine per difendere la città dai saraceni), in particolare a Leone XIII e alla sua innovativa apertura alla questione sociale, con l’enciclica Rerum novarum, si cela un altro meno evidente rimando. “Frate Leone” fu tra i più cari e vicini compagni di Francesco d’Assisi, destinatario di una benedizione scritta ancora conservata. Auguriamo a papa Leone XIV che riceva la benedizione di san Francesco e di papa Francesco.

Foto: wikimedia.org – di INFOWeather1)

  • Maria Cristina Bartolomei

    Già professoressa di Filosofia morale e di Filosofia della religione presso l’Università degli Studi di Milano. Teologa, fa parte della direzione della rivista Filosofia e Teologia.