Pubblichiamo il testo dell’orazione civile tenuta a Genova il 25 aprile 2025 dal prof. Paolo Corsini, già parlamentare e ora presidente dell’Istituto nazionale “Ferruccio Parri”, oltre che membro della nostra redazione

Care cittadine e cari cittadini, autorità,

oggi in questa città, come in tutto il Paese, si celebra l’ottantesimo anniversario della Liberazione, di quel 25 aprile 1945 che vide il compimento della Resistenza nell’insurrezione popolare contro l’occupante nazista e contro quel che restava del fascismo in agonia. Anche in questa occasione Genova scrive una pagina gloriosa della sua storia. Già la sera del 23 aprile le Squadre di azione patriottica del ponente cittadino passano all’azione animate dalla volontà di non concedere tregua ai tedeschi presenti in forze in città, ma oramai impossibilitati ad ogni via di fuga. Dopo che ogni ipotesi di armistizio viene scartata, il generale Günther  Meinhold  è costretto a firmare la resa nelle mani di Remo Scappini  ,operaio comunista , presidente del Cln ligure: unico caso in Europa, la Wehrmacht, un esercito regolare, si arrende ai partigiani prima dell’arrivo degli Alleati, uno “splendido lavoro” come allora lo definirono gli americani, che sarebbe valso l’attribuzione alla città della medaglia d’oro, dopo le atrocità subite, i partigiani uccisi, gli operai rastrellati nelle fabbriche e deportati a Mauthausen nel giugno del 1944. Genova ha sempre conservato la sua anima resistente, in più occasioni ha reso una straordinaria testimonianza morale e politica: nell’estate del 1960 , allorché l’annuncio dell’imminente congresso del Msi , il partito neofascista , vede i “ragazzi delle magliette a strisce” scendere in piazza a sostenere con il loro slancio le manifestazioni di protesta; ancora, nel gennaio del 1979 , con Guido Rossa che, con la sua determinazione e il suo coraggio, pagando con la vita, si oppone alla barbarie delle Brigate rosse a difesa della democrazia conquistata con  la sconfitta del fascismo. E così pure nel luglio del 2001, quando la città, in occasione del vertice del G8, alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto subisce la ferita di giovani sottoposti a brutali violenze e feroci crudeltà e reagisce invocando verità e giustizia in nome di quelle garanzie costituzionali ereditate dalla stagione costituente rappresentata dalla Resistenza, dalle battaglie condotte in opposizione alla tirannia totalitaria del nazifascismo.

Siamo, dunque, qui oggi per onorare i caduti della lotta di Liberazione, oltre cinquantamila, le vittime di un regime che ha perseguitato gli antifascisti attraverso le condanne del Tribunale speciale, che ha soppresso i propri avversari, da Gramsci a Gobetti, da Matteotti a don Minzoni, ai fratelli Rosselli. Siamo qui per sottrarre alla dimenticanza quanti furono reclusi nelle carceri e inviati nelle isole del confino, i cittadini ebrei, i rom, gli omosessuali, gli oppositori politici e sociali deportati nei campi di sterminio e prigionia, i militari internati nei lager, che non si sono arresi alle immani sofferenze a loro inferte, le vittime  della criminale guerra nazifascista condotta contro i civili –a Sant’Anna di Stazzema, a Marzabotto e in molte altre località –, quanti insomma hanno difeso la loro dignità e non si sono piegati alla dittatura, alla privazione della libertà, alla eliminazione delle condizioni che rendono possibile  la lotta politica, la dialettica delle idee, la civiltà della convivenza.

Non solo dunque il ricordo come personale evocazione del passato, ma la memoria come ethos condiviso, come patrimonio pubblico che consente ad una comunità di riconoscersi in un sistema di valori, oltre il vissuto di ciascuno. Non un rito stanco e imbalsamato, ma la volontà di fare memoria, di custodire pubblicamente ciò che va mantenuto vivo perché rappresenta un patrimonio che non può essere dissipato, l’inizio fondativo della nuova Italia democratica disegnata nei principi di fondo e nelle regole organizzative della Carta costituzionale antifascista e repubblicana. E neppure una semplice celebrazione dei sacrifici consumati che comunque costituiscono un esemplare paradigma da consegnare alle giovani generazioni, ma la Resistenza come modo di vita, come esperienza esistenziale che contrassegna il nostro stare al mondo, il nostro stesso essere nella sua disposizione a resistere contro ogni forma di sopraffazione e di ingiustizia.

Resistere, resistere, resistere come insurrezione di ogni giorno che mobilita energie, che offre linfa all’indignazione e motiva i no della coscienza. C’è tutto questo all’origine della scelta partigiana che porta giovani cresciuti alla retorica del regime, ai miti di una diseducazione volta ad irregimentarli, a schierarsi dalla parte giusta, a rifiutare la guerra, a negarsi all’arruolamento fascista , cercando le vie della montagna o il riparo nelle campagne della pianura , a irrobustire le file della cospirazione antifascista nelle realtà urbane, a vivere il rifiuto del fascismo come afflato di libertà fino a maturare una scelta politica che si collega e recupera lotte, idealità, esperienze dei partiti e delle formazioni politiche estromesse dalla vita pubblica ad opera della dittatura mussoliniana e dei suoi manutengoli. Da qui il patto resistenziale – come scrive Piero Calamandrei rivolgendosi al “camerata Kesselring” – “giurato fra uomini liberi che volentieri si adunarono per dignità e non per odio , decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo”. Uomini e donne di diversa ispirazione ideale – liberali, monarchici, cattolici, democratici cristiani, comunisti, socialisti, azionisti – ed estrazione sociale – operai, contadini, studenti, intellettuali, borghesi delle libere professioni, un fenomeno in precedenza sconosciuto di partecipazione, di mobilitazione popolare – che si organizzano per bande, scendono in lotta, imbracciano le armi attaccando il nemico, dando vita ad inedite esperienze istituzionali – le repubbliche partigiane –, elaborando avanzati programmi di rinnovamento politico e di ardite palingenesi sociali.

Una Resistenza plurale, quella armata, e quella senz’armi, quella civile, delle donne che non esitano a manifestare e sostengono le formazioni alla macchia, dei contadini che rifiutano l’ammasso obbligatorio, dei sacerdoti cattolici o dei credenti in altre fedi che in nome di un’insorgenza spirituale-religiosa, affiancano e partecipano al movimento di liberazione. Una Resistenza che si fa forte attingendo pure a sacche di dissenso dal nazifascismo dovuto ad un sentimento antitedesco talora riconducibile anche alla tutela di precisi interessi, quelli degli industriali che proteggono i propri stabilimenti e con essi i propri operai dalle sottrazioni naziste. Il movimento partigiano insomma come soggetto che rivendica una rinnovata identità della nazione, una nuova idea di patria, la riunificazione degli italiani e che non si lascia imbrigliare in una pratica “agra e stentata” di cobelligeranza, che non esita a scontrarsi col fascismo di quegli italiani fascisti colpevoli di aver trascinato il Paese in una guerra civile: non solo lo scontro tra la civiltà e l’anticiviltà della barbarie, della persecuzione razziale e della Shoah, ma pure il conflitto che vede contrapporsi sino all’estremo i cittadini di uno stesso Paese.

Ebbene, a decenni di distanza noi possiamo guardare a quanti sono caduti nel corso della guerra civile con cristiana pietà o laica commiserazione – sappiamo, come scrive Italo Calvino, che “bastava un soffio, un impennamento dell’anima” per stare con gli uni o con gli altri –, ma fermamente crediamo che non può essere in alcun modo offuscato il giudizio sulle vite vissute e perse in nome di un indistinto paradigma vittimario nel quale, alla fine, viene meno ogni criterio di giudizio, ogni possibile identificazione della parte giusta rispetto a quella ingiusta, ingiusta e non semplicemente sbagliata: chi si è battuto per la libertà e la democrazia, chi invece a sostegno di un regime dittatoriale, chi ha attribuito una solida legittimazione ad un disegno che ha poi trovato compimento nella Carta costituzionale, “la fonte battesimale della nuova Italia”, e chi invece, con la Repubblica sociale italiana ha sostenuto l’orrore nazista, lo Stato dei campi di sterminio, lo Stato della disumanità.

C’è un nesso inscindibile tra Resistenza, Liberazione e Costituzione: dalla morte della patria, dovuta alla dominazione fascista, alla sua rinascita, dalla sovranità autoritaria dello Stato etico alla sovranità democratica del popolo, nelle “forme e nei limiti della Costituzione” di uno Stato di diritto che assume il dovere verso i suoi cittadini, non più sudditi, di rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza […] e impediscono il pieno sviluppo della persona umana, l’effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, come recita l’articolo 3.

Il 25 aprile va, dunque, celebrato in rapporto all’antifascismo di ieri e di oggi, una festa della libertà perché guadagnata con la Liberazione, una festa per tutti quanti si riconoscono nel patriottismo della Costituzione. E con la Costituzione non è compatibile una memoria indulgente e, a essere benevoli, afascista, secondo la quale il fascismo “ha fatto anche cose buone”. Una vera idiozia ed una memoria in definitiva anti-antifascista. In realtà, come il presidente Sergio Mattarella ha più volte ribadito, irremovibile non può che essere una interpretazione del 25 aprile quale approdo di un processo di cui l’antifascismo costituisce la premessa, la condizione della democratizzazione delle istituzioni e della società. E questo vale ancor oggi, allorché da talune parti si propone di sostituire all’antifascismo l’antitotalitarismo come cardine portante della vita democratica, facendo così scomparire il fascismo come fenomeno reale e riconducendolo ad una manifestazione astratta, confinata nel passato. Un passato che purtroppo definitivamente non passa e che ritorna con le nefaste esibizioni delle marce su Bologna o ad Acca Larentia sino alla profanazione di quella piazza della Loggia a Brescia in cui nel maggio del 1974 si è consumata un’orribile strage fascista come ormai acclarato da definitive sentenze giudiziarie.

Ebbene netta e incomponibile è la divaricazione tra il patriottismo nazionalista e bellicista del regime e il patriottismo democratico, solidale, europeista –noi non dimentichiamo Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni – propugnato dal movimento di liberazione nazionale. Esattamente per questo la Resistenza è attuale. Perché pulsioni nazionalistiche sono di nuovo all’ordine del giorno, perché il nazionalismo, che ha costituito la malattia mortale del secolo scorso, di nuovo infesta il nostro tempo su entrambe le sponde dell’Atlantico, facendo balenare i lugubri fantasmi dell’alterazione dello Stato di diritto, alimentando le esperienze autoritarie proprie di quelle democrature che vedono intaccata la libertà di stampa e l’espressione della volontà popolare messa in discussione, sottoposta al rischio di essere revocata come avvenuto  nell’attacco a Capitol Hill in un Paese dalle indubbie tradizioni democratiche. Un neonazionalismo sovranista che attraverso politiche protezionistiche produce guerre commerciali, penalizza i Paesi più deboli, incrementa il divario tra nord e sud del mondo e le distorsioni proprie dello scambio ineguale, fino a puntare ad una progressiva erosione dell’ordine geopolitico retto sul diritto internazionale e su trattati multilaterali. E ancora: un neonazionalismo che punta ad uno sfiguramento plebiscitario e populistico della democrazia, facendo leva su di una ideologia che orienta l’opinione pubblica verso modelli conservatori e persino reazionari, un sovranismo forte del sostegno di imprenditori globali che gestiscono direttamente gangli dello Stato, secondo i quali la democrazia non sarebbe compatibile con la libertà. La Resistenza è attuale perché la Costituzione non va solo predicata, ma va attuata e strenuamente difesa contro ogni tentativo di sbrego a colpi di maggioranza come purtroppo racconta la storia parlamentare più e meno recente a carico di ambedue i versanti dello schieramento politico. Centralità del Parlamento come argine alla verticalizzazione del potere, equilibri e meccanismi di contrappeso a garanzia delle necessarie limitazioni nell’esercizio delle funzioni di governo per evitare il rischio che la democrazia si snaturi in capocrazia con una esorbitante concentrazione di poteri, salvaguardia dell’unità della Repubblica e valorizzazione del sistema delle autonomie, la magistratura autonoma e indipendente: questo il disegno dei padri costituenti. La Resistenza è attuale perché l’ideale di un’Europa unita, degli Stati Uniti d’Europa – una tra le visioni più appassionanti elaborata negli anni della seconda guerra mondiale nell’isola di confino di Ventotene – sta scontando enormi contraddizioni e l’Unione europea si ritrova in preda a laceranti contrasti, inabilitata a promuovere una politica estera e di sicurezza comune adeguata a fronteggiare le sfide di un’epoca di cambiamenti e grandi trasformazioni. La crisi che l’Europa vive a tutti i livelli -politico, sociale, culturale, economico, militare-, la fase discendente che sta attraversando, le difficoltà ad esercitare una leadership autorevole e all’altezza, la subalternità a logiche  volte a ridimensionare pesantemente il welfare, l’ossessione militarista che la attraversa, si accompagnano all’incapacità di costruire un’architettura diplomatica retta sulla cooperazione, su pratiche di dialogo, di rafforzamento di quella integrazione comunitaria che  renderebbe l’Europa forte di potenzialità di attrazione e di condizionamento. L’identità europea è oggi profondamente offuscata. È dunque legittimo chiedersi: dove è finita l’Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della libertà, della democrazia, del progresso sociale? Quest’Europa, non in grado di far sentire la propria voce, si inabissa nelle acque del Mediterraneo, dove a migliaia sono le vittime di un gretto egoismo, di una colpevole e irresponsabile indifferenza. Questa Europa disconosce sé stessa al cospetto di quanto tragicamente si sta consumando in Palestina, dall’attacco terroristico di Hamas a inermi cittadini israeliani alla ritorsione contro i civili attraverso efferati massacri perpetrati dal governo di Netanyahu nel tentativo di porre fine alla questione palestinese. Un disegno che produce orrori e determina una vera e propria catastrofe umanitaria. L’Europa nega sé stessa quando si ritrova incapacitata a promuovere concrete iniziative di pace a fronte del conflitto ucraino-russo, a far pesare la sua presenza rispetto ad una guerra che è tornata entro i suoi confini e che, oltre a determinare centinaia di migliaia di morti, ulteriormente incrementa il fenomeno della emigrazione di intere popolazioni alla ricerca delle condizioni della loro stessa sopravvivenza. La Resistenza è attuale perché l’invocazione “mai più la guerra” suggella la conclusione del conflitto mondiale, quando i superstiti di Mauthausen il 16 maggio del 1945 proclamano ad alta voce con un solenne giuramento che “solo la pace e la libertà sono garanti della libertà dei popoli” e che “la ricostruzione del mondo su nuove basi di giustizia sociale e nazionale è la sola via per la collaborazione pacifica tra Stati e popoli”. Dunque la pace come il messaggio oggi più pregnante e denso di significati – la pace inseparabile dalla giustizia, dalla distinzione tra aggredito e aggressore –, come l’invocazione più coinvolgente e pressante che si trasmette a noi da quanti si sono sacrificati in Italia e in Europa per donarci la libertà e si sono immolati per conquistare la democrazia. Viva l’Italia antifascista, viva la Costituzione repubblicana. Ora e sempre Resistenza!

Crediti foto:

KaituCC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

  • Paolo Corsini

    Già professore di Storia moderna all’Università di Parma, sindaco di Brescia e parlamentare della Repubblica. Fa parte del gruppo di coordinamento della rivista web Appunti di cultura e politica.