Per le prossime elezioni europee si annuncia la presentazione della lista “Pace terra e dignità”, a seguito dell’appello presentato da Raniero La Valle e Michele Santoro. Ne discutiamo a partire da due interventi di Fulvio De Giorgi e Luciano Caimi.

Intervento di Fulvio De Giorgi

Siamo – com’è noto – in un anno elettorale mondiale. Certo questo non significa automaticamente affermare che sia il trionfo globale della democrazia, ma, in ogni caso, è un tornante storico significativo: un’ottima occasione per “fare il punto” sulle grandi travature politico-istituzionali mondiali oggi.

            Per la prima volta, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la prospettiva globale dell’ONU è messa profondamente in crisi da visioni strategiche delle grandi Potenze, che sembrano ragionare prioritariamente (se non unicamente) nella prospettiva di Piattaforme multinazionali imperiali in gara per l’egemonia mondiale. L’ONU non è abrogato e le grandi Potenze vi rimangono dentro: eppure non suscita più la speranza di un futuro governo mondiale per la pace, la collaborazione e il benessere dei Popoli. L’ONU è ai minimi storici: ben più che ai tempi della guerra fredda.

Non ci sono però visioni istituzionali-mondiali alternative: certamente non lo è quella della gara imperialistica come guerra mondiale «a pezzetti», in cui la posta in gioco è puramente la supremazia, non certo un assetto nuovo complessivo di istituzionalizzazione delle relazioni internazionali. Questo è il punto più grave e sconcertante: si muovono conflitti ma senza mostrare apertamente in quale prospettiva “ideale” di Diritto ci si colloca. Di fatto è il diritto della forza: ma è ancora sostenibile questa struttura arcaica della istituzione-guerra nel XXI secolo?

            Da due anni poi il quadro internazionale si è gravemente incupito con la guerra, che si combatte in Europa e che viene intesa come braccio di ferro tra Russia e Occidente, cioè tra realtà che sono pure grandi Potenze nucleari: il rischio di uno “scivolamento” improvviso verso un conflitto nucleare più vasto è sempre incombente e non è per nulla scongiurato dall’apparente “cronicizzazione” locale del conflitto. Il tentativo di mediazione della Cina – che, per quanto carente in più aspetti non secondari, aveva però l’indiscutibile merito di partire da una chiara riaffermazione dei principi dell’ONU – è stato snobbato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito e, a ruota (di scorta), dall’UE.

            Oggi, le vicine elezioni del Parlamento Europeo rendono possibile, opportuno e quindi necessario e eticamente doveroso un dibattito generale su questo punto. L’UE va verso uno spaventoso riarmo e, dopo non aver fatto quasi nulla per “diplomatizzare” il conflitto russo-ucraino, avanza perfino l’ipotesi (attraverso la Francia, che è l’unico Paese dell’UE che è insieme potenza nucleare e membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU) di un coinvolgimento diretto di truppe occidentali in Ucraina.

            Ci si aspetterebbe allora che il dibattito politico-elettorale nell’UE e, perciò, anche in Italia sia preminentemente dedicato – con discussioni larghe e frequenti, chiari programmi dei partiti, riflessioni dei leader – a questo problema della guerra e della pace: cioè della vita e della morte non solo, già da due anni, di ucraini (e russi), ma potenzialmente anche di altri. Per non dire poi degli effetti negativi e distorsivi di questo conflitto sulle economie dei Paesi europei, sulle speculazioni dei soggetti finanziari (con grandi investimenti negli armamenti) e, più in generale, sull’insieme delle relazioni internazionali europee (distruggendo un asse strategico fondamentale che era quello dei rapporti tra UE e Federazione Russa).

            Eppure, nulla di tutto ciò. Sì, qualche balbettio si intravede: nei partiti di Centro-sinistra, soprattutto dopo l’affermazione della Schlein alla guida del PD, ma ancora non in sintonia con i 5Stelle: tuttavia il massimo che finora si è ascoltato nel dibattito è molto al di sotto del minimo che ci si sarebbe aspettati e che appare urgente, necessario, doveroso. Stupisce – è inutile dirlo – l’incapacità della Sinistra a prendere la bandiera della pace e a porsi alla testa del Pacifismo politico (dobbiamo accontentarci che, con la Schlein, i pacifisti non siano più criminalizzati e irrisi nel PD?). Stupisce – è inutile dirlo – il silenzio incoerente di tanti politici sedicenti cattolici e la loro renitenza a porsi sul piano della riflessione di papa Francesco, con conseguenti proposte o, almeno, con articolate riflessioni a favore di una politica di Pace, Giustizia e Libertà: la triade ideale invocata da De Gasperi dopo la Seconda Guerra Mondiale e alla base del suo impegno europeistico (nel quadro dell’ONU).

            Ecco perché saluto positivamente il progetto Santoro-La Valle di presentare, alle elezioni europee, una lista che pone in cima a tutto il problema oggi indubbiamente centrale per i nostri destini. Comunque vada (al momento in cui scrivo non so se riusciranno a raccogliere le firme necessarie: me lo auguro e cercherò di firmare anch’io), è già una fuoriuscita da quel senso di soffocamento claustrofobico e oppressivo in cui il pacifismo italiano (con la sua grande e seria tradizione, cattolica e laica) era stato costretto.

            Il programma elettorale, dunque, della Lista PACE TERRA DIGNITÀ (che, mi piace osservare, si apre nel nome di papa Francesco e si chiude nel nome del card. Martini) è articolato e con diverse proposte, nelle quali si sente l’eco di tanta elaborazione pluridecennale del movimento nonviolento. Vorrei solo sottolineare due aspetti. Il primo è, come ho detto, una lucida visione del punto centrale vitale per la UE: la pace. Leggiamo: «Noi consideriamo la guerra la manifestazione più estrema del potere patriarcale fondato sulla logica di potenza, sulla sopraffazione, sulla violenza. Le culture e le pratiche dei movimenti delle donne che vi si oppongono possono essere determinanti per costruire un mondo nuovo, pacifico e giusto, fondato sulla cura, sollecito delle differenze e avverso alle diseguaglianze. […] Occorre cessare l’invio di armi all’Ucraina e coadiuvarla in un negoziato che garantisca la reciproca sicurezza alle parti e risolva con procedure democratiche e di autodeterminazione il contrasto sulle terre contese. […] l’Europa, federazione di Stati, dovrà aprire una fase nuova di cooperazione fra i popoli, operare per riprendere la strada dei trattati sul disarmo e la denuclearizzazione militare e civile, ridurre la spesa militare, promuovere il controllo pubblico della produzione e dello scambio delle armi, e stabilire la riconversione con finalità civili delle proprie industrie belliche. […] L’Europa deve rifiutare il criterio delle relazioni internazionali come “competizione strategica” tra le grandi Potenze […] Nel quadro di un progressivo risanamento delle relazioni internazionali, occorre ridare efficacia di intervento al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel suo ruolo di difesa della pace, mediante la revisione del diritto di veto, lo sviluppo delle procedure democratiche e l’ingresso tra i Membri Permanenti di altri grandi Paesi come il Brasile, l’India e il Sud Africa. […] Solo però uscendo dal sistema di guerra sarà possibile prendersi cura delle persone e aprire un’era nuova per il mondo. L’homo sapiens combatte armato dall’inizio della sua esistenza. Questo però non significa che la guerra sia connaturata all’uomo e che non debba essere prevenuta e impedita come il crimine di genocidio».

            Il secondo aspetto riguarda la politica economica per la pace e l’ecologia integrale, tra l’altro con una generale e strategica proposta di cancellazione del debito, a più livelli: «La speculazione finanziaria minaccia oggi le democrazie sottraendo risorse ai bisogni della società e al lavoro produttivo. La guerra ne riafferma il dominio. […] Compito dell’Unione Europea è impedire la fuga di capitali all’estero e l’incontrollata globalizzazione della finanza, introdurre la Tobin Tax sui movimenti speculativi e tassare le aziende del fossile (mentre oggi l’87% delle emissioni non è soggetto a un costo), estendere ed aumentare la Carbon tax, detassare le tecnologie verdi e abolire qualsiasi detrazione fiscale per chi inquina. […] Facciamo nostro l’appello di importanti economisti europei per la cancellazione del debito pubblico in pancia alla BCE, che ammonta a un quarto del totale del deficit degli Stati membri. […] cancellare o ridurre i debiti dei Paesi in via di sviluppo […] avviare, presso l’ONU, un tavolo di trattative per creare le “condizioni economiche per la pace”, come richiesto dall’appello di autorevoli economisti di tutto il mondo. […] La Pace e l’uscita dal meccanismo infernale del debito sono indispensabili per affrontare alle radici i problemi che causano le migrazioni».

            È inutile che qui riprenda e controbatta alle critiche che da sempre sono state rivolte ai movimenti pacifisti e nonviolenti e che si riassumono nell’accusa di utopismo astratto. In realtà la visione politica di una civiltà mondiale di pace è il punto più alto (e meno occidentalista) di tutta la storia dell’Occidente. E come scrisse Paolo VI nella Populorum Progressio: «Certuni giudicheranno utopistiche siffatte speranze. Potrebbe darsi che il loro realismo pecchi per difetto, e ch’essi non abbiano percepito il dinamismo d’un mondo che vuol vivere più fraternamente».


Intervento di Luciano Caimi

Come sempre, gli interventi dell’amico Fulvio De Giorgi sollecitano la riflessione personale e costituiscono implicito invito a un pacato dialogo. Ricordo, ad esempio, il suo importante Editoriale, Fermare la guerra oggi per abolirla domani ‒ «Appunti di cultura e politica» 2 (2022) ‒, che diede vita a un serrato dibattito sulla stessa rivista (contributi di Rosy Bindi, Vannino Chiti, Alessandro Castegnaro, Guido Formigoni, Franco Totaro, Carla Danani, Luigi Franco Pizzolato). Altrettanto significativo il presente contributo, di netta posizione a favore della lista Pace Terra Dignità, presentata da Michele Santoro in partnership con Raniero La Valle per le prossime elezioni europee. A sostegno di tale lista si sono ormai espressi molti nomi noti, perlopiù esponenti del variegato arcipelago della sinistra e del pacifismo. Negli ultimi giorni sono andate precisandosi anche le candidature. In ogni caso, rammento che per poter accedere alla competizione elettorale, la lista deve raccogliere 75.000 sottoscrizioni entro il 30 aprile.

            La prima parte dell’articolo di De Giorgi costituisce una lucida analisi della fase altamente drammatica per l’Europa, a seguito della guerra russo-ucraina. Il cuore ci si stringe sempre più di fronte a quell’immane tragedia che sta distruggendo vite, città, territori, attività della normale convivenza civile, alimentando odi e rancori fra i due popoli, per stemperare i quali occorrerà, verosimilmente, più d’una generazione. Nel conflitto siamo direttamente coinvolti anche noi europei, con gli americani a menare le danze, tutti stretti nel vincolo della NATO. Gli ucraini hanno sin qui potuto resistere alla superiorità militare dell’invasore grazie ai diversi tipi di sostegno, con in testa le armi, loro recapitate da USA e UE nell’ambito, appunto, dell’alleanza atlantica (della quale, tuttavia, l’Ucraina non fa parte). Negli ultimi tempi molte cose sono cambiate. Pur con grandi difficoltà, i russi sembrano avere la meglio sul campo di battaglia. L’orgoglio ucraino, che con l’aiuto occidentale, ha sin qui alimentato la resistenza, non può ammettere in pubblico la realtà delle cose, ma i fatti paiono evidenti. Intanto, di qui e di là delle sponde dell’Atlantico, è innegabile anche il diffondersi di una certa “stanchezza” dei popoli circa il sostegno oneroso in termini economici del coinvolgimento nel conflitto, che significa dislocamento di risorse in quella direzione, a detrimento di interventi sui sempre crescenti bisogni nazionali. Ovviamente, i singoli governi non possono non prestare attenzione agli “umori” dei loro concittadini.

            Entro questo drammatico quadro, De Giorgi fa tuttavia notare che in Europa continua a prevalere un sentimento bellicistico, tanto da procedere verso «uno spaventoso riarmo», dopo «non aver fatto quasi nulla per “diplomatizzare” il conflitto» (e ‒ osservo ‒, Putin a parte, non sono certo rassicuranti le recenti, improvvide uscite di Macron…). Il rammarico dell’autore, poi, è che il problema cruciale della guerra e della pace ‒ rispetto al quale risultano in gioco la vita e la morte d’intere popolazioni, nonché il futuro del Continente, con le inevitabili ricadute sul complessivo assetto geo-politico mondiale ‒ non trovi spazio nel dibattito pre-elettorale sulle europee. Allora, ben venga ‒ è il pensiero di De Giorgi ‒ l’iniziativa di Santoro, La Valle e amici. Che, fra l’altro, stando alle dichiarazioni programmatiche del loro manifesto d’intenti (Pace Terra Dignità), raccorda il tema centrale ‒ pace e guerra ‒ ad altri, ugualmente decisivi e interconnessi: ecologia integrale, economia, riduzione del debito pubblico.

            Personalmente, sono portato a plaudire a qualsiasi iniziativa che, con retta intenzione, fuori quindi da strumentalizzazioni e convenienze di parte, si proponga di operare, in ogni contesto, per favorire processi di pace. Nello specifico, però, l’iniziativa in questione mi trova perplesso per tre ordini di ragioni politiche.

            Innanzitutto, introduce una dinamica di oggettivo frazionamento nell’area di centro-sinistra che, anche a livello di Parlamento europeo, avrebbe invece bisogno, nel reciproco rispetto delle  differenti sensibilità di ciascuna componente, di rinsaldare le convergenze su comuni linee d’azione. Penso inutile farsi illusioni: una lista come quella in esame, anche per dimostrare di esistere con una propria identità “non negoziabile”, sarebbe portata sempre e comunque a porre stressanti distinguo, quando non vere e proprie prese di distanza dagli alleati.

            In secondo luogo, reputo che una formazione politica, benché legittimamente indotta a insistere su alcune privilegiate linee programmatiche (sta qui, del resto, la pertinenza di una netta e sempre valida distinzione fra “destra” e “sinistra”), debba coltivare una visione d’insieme, globale di una società sempre più complessa e articolata, con una molteplicità d’interessi configgenti, come la nostra, a maggior ragione se considerata su scala europea. Avanzo un sommesso dubbio (lieto, eventualmente, di potere essere smentito) sul fatto che gli esponenti di una lista di battaglia come quella in questione riescano a coltivare una meditata cura per “il tutto”.                    

            In terzo luogo e fuori da infingimenti ipocriti: la fase politica che stiamo attraversando, con il successo di guru e arruffapopoli un po’ ovunque, esige che si guardi senza prevenzioni, ma anche con disincanto ai vertici di vecchie e nuove formazioni. Non fosse altro per evitare disillusioni postume su scelte un po’ disinvolte.

(Foto di Zaur Ibrahimov su Unsplash)

  • Fulvio De Giorgi

    Professore di Storia della pedagogia e dell’educazione presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia; è co-presidente della Rosa Bianca.

  • Luciano Caimi

    Presidente dell’associazione Città dell’uomo e direttore di Appunti di cultura e politica; già ordinario di Storia della pedagogia e dell'educazione presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore.