Il mese di novembre 2023 inizia con una nuova gomitata politica sferrata dalla Meloni sia al Parlamento italiano che al diritto europeo. Dopo i flop certificati dalla massa di arrivi sia dal Mediterraneo che dalla via balcanica, si sta infilando, decisa, senza tentennamenti, in una nuova avventura  che pare avere tutte le premesse per un altro fallimento, non solo sul versante di una  politica estera sempre più avventuriera, con un Tajani figurante inconsistente, ma anche sulla politica interna in materia di gestione dei flussi migratori. Dopo il tacito rinnovo del memorandum con la Libia la presidente del consiglio ha celebrato l’11 giugno scorso, in compagnia della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del premier olandese Rutte un “pacchetto di partenariato globale” con la Tunisia di Saïed Kaïs. Le due parti si promettevano un “approccio olistico alla migrazione”, mettendo sul piatto un aiuto economico di poche decine di milioni di euro  per l’attivazione di misure atte a bloccare le partenze di barchini dalle coste tunisine per raggiungere le coste siciliane. La promessa da parte tunisina era di riaccogliere in Tunisia i migranti allontanati dall’Italia con la finalità poi di instradarli verso i paesi di origine. La conclusione è stata il rifiuto degli aiuti economici europei, definiti dal Rais una elemosina, il maltrattamento criminale dei migranti presenti in territorio tunisino e nessuna riaccoglienza di migranti respinti dall’Italia. Il cosiddetto Piano Mattei appare sempre più un castello  progettato sulla sabbia. Ora la presidente si ripete, senza alcun mandato parlamentare, e raggirando i suoi stessi ministri di governo. Stavolta mancava la presenza dei due colleghi europei presenti a Tunisi. Ha fatto tutto da sola. Ancora accordi con un personaggio ambiguo, ritenuto altamente corrotto nel suo paese, Edi Rama. Il “Protocollo tra il governo della Repubblica italiana  e il consiglio dei ministri della repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria” prevede che l’Albania metta a disposizione dell’Italia parte della sua sovranità territoriale cedendo due aree del proprio territorio per la realizzazione di due centri di detenzione per migranti raccolti in  mare dalla marina italiana, esclusi quelli recuperati/salvati dalle ONG attive nel Mediterraneo centrale.  Le strutture saranno realizzate e gestite dall’Italia a proprie spese e sotto la propria giurisdizione. In altre parole, due pezzi di territorio albanese passano a titolo gratuito sotto la giurisdizione italiana per 5 anni, art.13, rinnovabili tacitamente per altri 5, a meno che una delle  due parti, previo preavviso di 6 mesi, dichiari decaduto l’accordo. È da notare, a scanso di equivoci, che nella premessa si afferma in due diversi paragrafi  la comune preoccupazione dei firmatari di garantire il rispetto dei diritti umani.  Uno scarabocchio diplomatico mai visto se non nei tentativi di delocalizzare i centri di detenzioni al difuori della propria sovranità territoriale da parte del governo inglese di Rishi Sunak  che aveva individuato il Ruanda come territorio in Africa dove deportare i migranti irregolari intercettati su suolo britannico, delegando, dietro compenso, il governo ruandese a trattare le richieste di asilo. Per  legittimare l’operazione il primo ministro affermava che il Ruanda è un paese sicuro. Il miliardario di origini indiane è stato doppiamente smentito, visto che aveva già predisposto in passato delle navi ancorate vicino alle coste inglesi su cui deportare gli illegali. Tutti e due i progetti sono stati cassati dalla Corte Suprema inglese. Solo l’Australia utilizza la piccola isola stato di Nauru nelle modalità pensate dalla Meloni. La tentazione dell’extraterritorialità per impedire ai richiedenti la protezione internazionale di toccare terra nazionale è una combine che  ipocritamente punta ad esimere gli stati  sottoscrittori della Convenzione di Ginevra, come l’Italia e tutti i paesi europei, dal rispettare il principio di non refoulement, ossia il divieto di  respingimento alle frontiere di chi richiede rifugio. L’operazione segue le logiche del cosiddetto decreto Cutro e i vari decreti sicurezza adottati a catena in questi ultimi mesi, dando l’impressione che il governo italiano si stia avvitando in una spirale disumana senza vie d’uscita. Tutti passi istituzionali fatti senza ricorrere ad alcun tipo di “pensiero” strutturato e a discapito del buon senso.

Questioni aperte

L’Albania ha aderito alla Convenzione di Ginevra  il 1° ottobre 1969, in pieno regime comunista, ed è ritenuto per questo dal governo italiano un paese sicuro in cui mandare richiedenti asilo. L’accordo è di accoglier/detenere complessivamente e in permanenza 3.000 persone nelle due strutture realizzate. La Meloni calcola in questo modo che 36-39 mila persone passeranno nei suddetti nel corso di un anno, prevedendo dei tempi brevissimi da dedicare alle audizioni dei richiedenti asilo e alla definizione della loro posizione.  Il tutto a spese dell’Italia, con personale italiano all’interno delle aree e la polizia albanese per l’esterno. Il costo, parametrato al costo pro capite/ detenuto in Italia, è di almeno 138 euro giorno a trattenuto ossia, con il pieno dei centri, 414 mila euro giorno che significano oltre 151 milioni l’anno. A questo va aggiunto il costo dei trasferimenti  e delle diarie  di chi esaminerà le richieste di asilo in quei centri.  C’è da immaginarsi poi la spola della Guarda costiera italiana tra il Mediterraneo centrale e le coste albanesi in un via-vai senza soluzione. Insomma, un’operazione economica a perdere. Anche perché non si sa cosa succeda a coloro che non vengono riconosciuti e che, secondo la legge, non possono essere trattenuti più di 18 mesi. Vengono rilasciati in territorio albanese, o di nuovo riportati in un centro sul suolo italiano? Inoltre, dove inviare le persone  non accolte, verso quale paese? In che modo? Da parte di chi?

Per quanto riguarda il diritto comunitario UE, Yiva Johansson,  commissaria per gli affari interni, ha affermato che l’accordo non viola il diritto UE in quanto tutto ciò che avviene  è al di fuori del diritto UE. Dimentica che la giurisdizione italiana si estende in modo anomalo a parte dell’Albania e quindi dovrebbe rientrare nel diritto UE. Dire che l’Albania non è UE, e che quindi le sue acque nazionali non sono incluse nelle aree di competenza UE, omette di rilevare che le navi militari italiane sono territorio italiano e quindi dovrebbe essere permesso fare domanda di protezione già su una motovedetta battente  bandiera nazionale.  Un bel modo per defilarsi dalle responsabilità, forse pensando che l’Albania potrebbe presto, proprio anche per l’appoggio dell’Italia, entrare a far parte dell’Unione.  Non è un caso che lo stesso Olaf Scholz, cancelliere tedesco, ritenga di poter tentare una simile  avventura, stressato dalle debacle elettorali delle ultime consultazioni nei länder della Baviera e dell’Assia, dove c’è stata una vistosa crescita dell’AFD, Alternative fur Deutschland, partito di estrema destra che alcuni costituzionalisti tedeschi chiedono di mettere fuori legge.  La sua SPD ha perso diversi punti percentuale, per cui viene  legittimato il ricorrere ad anacronistiche narrazioni populiste etnonazionaliste per mantenere una qualsivoglia sopravvivenza politica a discapito del diritto europeo e degli accordi internazionali, come la Convenzione di Ginevra o la CEDU, Corte Europea per i Diritti Umani. Il diritto umano per l’occidente o vale come assunto universalista oppure disvela tutta la sua fragilità ideale oltre che la sua dubbia imparzialità e messa in opera.

Rifuggire dalle proprie responsabilità storiche  pare essere la prassi preferita dalla politica italiana ed europea.

(Foto di Olga Pro su Unsplash)

 

  • Franco Valenti

    Laureato in teologia morale presso l'università di Friburgo, esperto di tematiche inerenti le migrazioni contemporanee, membro della Weltethos Stiftung di Tubinga.