Narrare il diritto costituzionale, la nuova sfida della Consulta
Forse non è un caso che proprio in questi giorni, con la guerra che lambisce l’Europa in Ucraina e si riaccende, inesorabile, in medio-oriente, esca per Feltrinelli un’interessante pubblicazione a firma di Giuliano Amato e Donatella Stasio (Storie di diritti e di democrazia. La Corte Costituzionale nella società, Feltrinelli, 2023). Non è un caso perché, come insegna la storia, se parlano le armi, i diritti, che sono la cartina al tornasole della pace, sono costretti a tacere. Si chiedeva alcuni anni fa il costituzionalista Michele Ainis: «Qualcuno saprebbe forse immaginare un tribunale costituzionale all’opera mentre nelle strade divampa una rivoluzione?»
Così questo libro, opera di un giurista (oltre che politico di lungo corso) appena uscito dai nove anni di servizio alla Corte Costituzionale, di cui nove mesi da Presidente, e di una giornalista, che di quella Corte ne è stata a capo della comunicazione, narra proprio di diritti. Anche come antidoto alla guerra, all’emarginazione e alle prevaricazioni. Quelli difesi, promossi, incoraggiati, talvolta anche contesi, che sgorgano a fiotti dalla nostra Costituzione. Ma non in modo astratto e accademico. Anzi, il punto di partenza del volume potrebbe essere proprio il mantra di Aldo Sandulli, presidente della Corte a fine anni ’60 citato nelle pagine iniziali, secondo cui la Costituzione e la Corte Costituzionale, che ne è l’inesorabile promotrice, sono: «carne e sangue del corpo sociale».
Il filo conduttore è una stagione fortunata: quella apertasi con la presidenza della Consulta di Paolo Grossi (tra il 2016 e il 2018), il quale capì, seguito dai suoi successori, la necessità di questa istituzione di aprirsi ai cittadini, farsi conoscere e, a sua volta, toccare maggiormente dal vivo i luoghi del conflitto, dell’emarginazione, della sofferenza, della formazione. Insomma, quei luoghi dove i diritti costituzionali – che sono i parametri che guidano i giudici costituzionali nelle decisioni – devono arrivare e applicarsi. Forse più che in ogni altro luogo. Già, a pensarci, è vero quanto scrivono gli autori nell’incipit del libro. Nel nostro paese, per certi versi, la Corte Costituzionale «è una semi sconosciuta». Magari perché giudica le leggi – e non le persone – o i conflitti istituzionali (i cd. conflitti di attribuzione tra poteri e tra Stato e Regioni). Eppure, è proprio grazie all’operato dei giudici costituzionali che i cittadini possono sentire la Carta come una cosa “viva”, un effettivo argine, in primis, al Governo e al Parlamento.
Sulla base di questa consapevolezza la Corte ha iniziato ad aprirsi, rendendo ciascuno dei suoi membri un “commesso viaggiatore” della Costituzione. Intendiamoci: non che prima della stagione di cui si racconta nel libro i giudici costituzionali non fossero degli appassionati promotori dei valori costituzionali. Tuttavia, forse, l’attività divulgativa era riservata al post mandato, mentre durante il novennio alla Consulta vigeva più il riserbo e l’anonimato. «Un giudice costituzionale non dovrebbe essere riconosciuto per strada» amava ripetere Ugo De Siervo, che guidò la Corte, impeccabilmente, tra il 2010 e il 2011. Che ciò stia progressivamente mutando? Forse non è questo il punto. Il ruolo resta quello di un giudice chiamato a studiare gli atti, i precedenti e redigere sentenze e ordinanze. E, soprattutto, quello di giudice costituzionale resta un ruolo collegiale, in cui le decisioni si prendono insieme, talvolta anche a maggioranza, senza che però nessuno conosca le dissenting opinion. Non è omertà, ma salvaguardia dell’autorità dell’istituzione.
Ciò detto, il libro racconta di come i giudici costituzionali abbiano iniziato a manifestarsi in modo più organizzato e visibile nella società, spinti anche da una strategia comunicativa che ha provato a irrobustire il filo che lega i giudici delle leggi alle persone. Emblematici sono i “Viaggi in Italia” organizzati dalla Consulta, con buona dose di comunicazione esterna: nelle carceri (documentato anche da un’interessante produzione RAI) e nelle scuole. E poi, i podcast, con uomini di scienza e cultura, per raccontare di come i diritti costituzionali non vivano nell’etere ma riguardino le nostre vite. Sino ad alcune – per la verità discusse – conferenze stampa, per meglio spiegare al pubblico alcune decisioni assunte dal collegio.
Ne esce un mosaico di incontri assai interessante e variegato, che, in definitiva, trasmette un’iniezione di fiducia al lettore. In tempi in cui soffia forte il vento dell’antipolitica e le istituzioni godono di cattiva fama non è irrilevante, per la salute stessa della democrazia, sapere, come afferma Giorgiana, detenuta del carcere di Rebibbia dopo aver incontrato la Corte Costituzionale: «abbiamo uno scudo, e non lo sapevamo!». Già, lo scudo della Costituzione e dei giudici chiamati a vigilarne l’applicazione.