Giannino Piana (1938-2023) – In memoriam.
Mercoledì, 11 ottobre, nella sua casa di Arona, ci ha lasciato, dopo lunga malattia, vissuta lucidamente sino alla fine, l’amico, prof. Giannino Piana.
Nato a Ornavasso (Verbania) nel 1938, ha rappresentato una figura di spicco nel campo della teologia morale, contribuendo al suo radicale rinnovamento dopo il Concilio. Davvero imponente la sua bibliografia, che ha spaziato su tutto l’arco tematico interessato dal “discorso morale”, vale a dire l’interezza dell’esperienza umana nei suoi profili personale e sociale. Basti qui ricordare la monumentale opera In novità di vita (quattro volumi), pubblicata da Cittadella (2012 – 2017). Nell’intero corso della sua ricerca, Giannino Piana si è mostrato osservatore acuto delle accelerate trasformazioni di carattere scientifico-tecnologico, bio-medico, socio-economico e dei costumi diffusi, le une e gli altri sempre gravidi anche d’interrogativi etici.
Il suo impegno per un’elaborazione teorica credibile agli occhi non solo dei credenti, ma di ogni uomo e donna “pensanti”, desiderosi di approfondire il significato di una “vita buona”, meritevole di essere vissuta ‒ questo, in definitiva, il nucleo concettuale decisivo dell’agire morale ‒, lo ha reso guardingo dal rischio d’improvvide forme di rigidità o, addirittura, di dogmatismo etico. Con l’avvertenza, poi, che una teologia morale cristianamente ispirata, se vuole incrociare l’interesse di chi vive in una società secolarizzata come la nostra, richiede l’abbandono di modelli del passato a impronta giuridicistica, per cogliere negli assi valoriali del Vangelo (amore, fraternità, dedizione, accoglienza, misericordia, perdono…) le irrinunciabili matrici orientative.
Uomo mite, aperto al confronto con tutti, Giannino si è sempre mostrato generosamente disponibile nel porre la propria competenza a servizio di chi, innanzitutto nelle comunità cristiane (diocesi, parrocchie, gruppi, associazioni…), gli si rivolgeva chiedendo aiuto per discernere i nuovi interrogativi morali posti, su più versanti, dai vorticosi cambiamenti in atto. Ammirevole anche la sua costante presenza in numerose riviste di divulgazione, sempre con l’intento di sostenere, senza spocchia professorale, il lettore a maturare criteri per un giudizio morale sulle più diverse questioni interpellanti.
Oltre all’insegnamento pluridecennale presso le istituzioni accademiche della diocesi di Novara, egli ha svolto attività di docenza nella Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano, Torino), nella Facoltà di Teologia dei Salesiani (Torino), nell’Università di Urbino e in quella torinese.
Segno della stima da lui goduta nel circuito dei cultori del medesimo ambito disciplinare furono gli incarichi, prima di Segretario (1975-1984), poi di Presidente (1984-1992), dell’Associazione Teologica Italiana per lo studio della Morale.
Giannino ha sempre guardato con interesse all’associazionismo cattolico impegnato nello sviluppo di riflessioni e proposte socio-culturali di carattere democratico. In questo senso, ha avuto, seppur da “esterno”, anche un occhio di riguardo verso “Città dell’uomo”. Ne sono testimonianza i contributi per «Appunti di cultura e politica», ai quali va aggiunta la bella voce Beni comuni, per il Dizionarietto di politica. Le nuove parole (eds. G. Formigoni, L. Caimi), pubblicato da Scholé (Brescia) nel 2022.
Con queste brevi considerazioni intendiamo compiere esercizio riconoscente, di grata memoria dell’amico e dello studioso.
In simile linea di colleganza amicale, ci pregiamo, poi, pubblicare l’ultimo suo contributo per la nostra rivista: la recensione di un libretto, a cui teneva molto, di Karl Löwith (Monaco di Baviera, 1897 – Heidelberg, 1973), celebre filosofo tedesco di origini ebraiche, allievo di Heidegger.
Luciano Caimi
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“La domanda è per noi: c’è ancora un’istanza che possa costituire un limite al progresso in sé illimitato, oppure è inevitabile che l’uomo faccia tutto ciò che può fare?”. A porre questo inquietante interrogativo è Karl Löwith, naturalista e filosofo, autore di questo libro piccolo ma prezioso, che raccoglie quattro saggi scritti tutti prima del 1973, l’anno della sua morte ad Heidelberg (anno di cui ricorre il cinquantesimo anniversario). Il testo presenta oggi, a distanza di un certo tempo (molto se si considera l’accelerazione degli ultimi decenni), i connotati di un’anticipazione profetica.
Come tale si rivela soprattutto uno strumento culturale utilissimo per affrontare le sfide del presente, in particolare per far fronte alla grave crisi ambientale nella quale è coinvolto l’intero pianeta. Per questo meritano di essere fatti oggetto di attenzione, anche se a distanza, questi saggi che risalgono alle radici di processi incandescenti che hanno esercitato (ed esercitano) un peso determinante sul rapporto dell’uomo con la natura.
L’uomo di fronte al cosmo
Nel primo di essi (Mondo e mondo umano), dopo aver definito la natura una “totalità armoniosa”, Löwith denuncia i limiti delle coscienze moderne educate in senso storicista con un rovesciamento della filosofia occidentale, a partire dal pensiero greco, e rifiuta anche la visione cristiana, la quale ha fortemente influenzato la filosofia della modernità – da Cartesio a Kant, da Husserl ad Heidegger – facendo del principio antropologico il criterio (quasi esclusivo) di valutazione della realtà e assegnando il primato all’ambiente umano sul mondo naturale.
Il contributo di Teilhard de Chardin
Queste considerazioni rappresentano l’orizzonte entro il quale vanno collocati i saggi successivi, il secondo anzitutto (Teilhard de Chardin. Evoluzione progresso ed escatologia), dedicato alla presentazione e alla discussione della teoria evolutiva di Teilhard de Chardin, teologo e studioso di scienze naturali. Löwith non manca di elogiarne il coraggio per avere per la prima volta introdotto all’interno della teologia cristiana, l’affermazione di un processo evolutivo naturale che giunge fino all’uomo, ma nega che questo avvenga, come pensa il teologo francese, per un disegno divino e che la comparsa dell’uomo implichi una vera rivoluzione biologica con l’affermazione di una netta superiorità dell’autocoscienza umana rispetto alla specie animale.
Il mito del progresso e le ragioni filosofiche
Questo consente a Löwith di introdurre l’idea che l’amore comporti, nella sua natura più profonda, la disinteressata apertura alla totalità di ciò’ che continuamente si trasforma. Egli affronta allora direttamente nel terzo saggio (La fatalità del progresso), l’idea di “progresso” oggi dominante, rilevando come la scienza e il suo sviluppo siano in permanente divenire nella società occidentale, e chiedendosi – è questa la domanda da cui siamo partiti – se su questa terra esista ancora un’istanza che possa contribuire ad assegnare un limite al progresso in sé illimitato. Egli reagisce con forza alla visione oggi vincente, mettendo sotto processo il mito di Prometeo, e contrastando la tesi che fa dell’attesa del futuro la ragione esclusiva del vivere non tenendo in alcun conto le controindicazioni che hanno assunto ai nostri giorni connotati drammatici.
Ma Löwith non si accontenta della descrizione di quanto è avvenuto (e tuttora avviene); va più radicalmente alla ricerca delle ragioni filosofiche che hanno causato la deriva attuale. In questo contesto – è il tema del quarto saggio – affronta la questione dell’Essere nella filosofia di Heidegger (La questione heideggeriana dell’Essere: la natura dell’uomo e il mondo della natura). Egli intrattiene con il filosofo tedesco un dialogo personale al cui centro vi è la critica alla separazione dalla natura, dovuta a una concezione individualistica dell’uomo la quale esclude ogni relazione con gli altri e con il mondo. Löwith reagisce a tale posizione, fondata sulla convinzione che l’uomo trascende la natura e afferma con forza che il mondo della natura è, in termini formali, l’unità e la totalità di ogni cosa che sussiste.
Il volume di Karl Löwith è arricchito da una lunga e preziosa introduzione di Orlando Franceschelli, il quale, oltre ad evidenziare l’importanza e l’attualità dei temi trattati, li contestualizza nel quadro più generale dell’intero pensiero dell’autore, mettendo a fuoco con lucidità e con rigore il significato del suo contributo.
Importante è, infine, l’Appendice, che riporta il discorso tenuto da Löwith all’università di Bologna in occasione del conferimento della laurea honoris causa. Un discorso di carattere storico e politico, che rende testimonianza della sua dirittura morale e della sua sofferta e costante partecipazione civile.
Gentile Luciano,
sono commosso e grato per questo ricordo del compianto prof. Giannino.
La sua cultura e la ragionata dolcezza della sua testimonianza teologica rimarranno anche per me un esempio e uno sprone a coltivare nel dialogo l’umanità che ci accomuna.
Ogni suo scritto e ogni contatto (come non ricordare le sue gentili telefonate, anche in occasione dell’uscita di questo “profetico” libro di Löwith!) che ho potuto avere con lui mi hanno arricchito.
E mi è facile pensare che ciò sia avvenuto per chiunque abbia avuto il piacere di conoscerlo.
Con i più cordiali saluti, Orlando Franceschelli