Con l’approvazione del Documento di Economia e Finanza (DEF) nel corso dell’ultima settimana di aprile si è formalmente avviato il ciclo di bilancio del Governo Meloni che si svilupperà in modo articolato nei prossimi mesi. Il DEF si approva in aprile ed ha come obiettivo quello di definire il quadro di finanza pubblica a legislazione vigente e di inquadrare il quadro di finanza pubblica programmatico, che include le scelte che l’esecutivo ritiene di potere implementare in vista della manovra di bilancio autunnale. Il documento verrà aggiornato infatti entro settembre con la Nota di aggiornamento al DEF (Nadef) al fine di predisporre il Documento programmatico di bilancio da trasmettere all’Eurogruppo ed alla Commissione Europea entro metà ottobre per poi concretizzarsi nella presentazione della Legge di bilancio al Parlamento che la dovrebbe approvare entro fine dicembre.
Il DEF si compone di alcuni documenti: il Programma di stabilità dell’Italia, un documento di analisi delle tendenze della finanza pubblica ed il Programma nazionale di riforma. Il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma devono essere presentati entro fine aprile alla Commissione Europea ed al Consiglio dell’Unione Europea che ne valutano la coerenza rispetto alle Raccomandazioni di politica economica al paese espresse nell’ambito del cosiddetto Semestre Europeo.
Fin qui l’aspetto procedurale che seguirà il suo iter nei prossimi mesi. Sul piano dei contenuti il DEF del Governo Meloni fa naturalmente riferimento alla Nadef di fine novembre 2022 che è stato il primo atto di orientamento della politica economica della nuova maggioranza. Rispetto alla Nadef del 2022, il Ministero Economia e Finanza (MEF) ha aggiornato nel DEF 2023 la crescita tendenziale del PIL dallo 0,3% allo 0,9% e quella programmatica dallo 0,6% all’1%, in virtù del miglioramento delle condizioni dell’economia europea.
Il fatto nuovo di questo documento è certamente costituito dall’aggiornamento del dato sull’indebitamento netto rispetto al PIL (ciò che più comunemente indichiamo come deficit) che, a causa del nuovo metodo di conteggio dei bonus edilizi (da considerare subito in bilancio e non quando concretamente verranno a manifestarsi), ha portato questa grandezza all’8,5% del PIL per il 2022 ed al 4,5% del PIL per il 2023, con un percorso di rientro verso il 3% che si dovrebbe concludere nel 2025. Infine, il saldo primario (ovvero la differenza tra entrate e spese in rapporto al PIL senza considerare gli interessi sui titoli del debito pubblico) passerà da -3,6% del 2022 a -0,8% nel 2023 per tornare in avanzo nel 2024 (0,3%).
In un periodo di inflazione significativa, dietro questa dinamica sugli aggregati si cela un trascinamento verso l’alto delle entrate tributarie a causa dell’inflazione ed una sostanziale stabilità della spesa, salvo interventi, che però viene ridotta in termini reali dall’inflazione stessa a causa del mancato allineamento della spesa pubblica all’inflazione. Si rammenti, infatti, che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, NIC, è cresciuto dell’8,1% nel 2022 e l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, che è lo standard europeo dell,8,7%, e la componente di fondo dell’inflazione, quella che esclude dal conteggio beni alimentari non lavorati e beni energetici, in marzo era ancora in accelerazione del 6,4%.
Peraltro il Governo ha già previsto di rivedere in modo significativo l’indicizzazione di una parte della spesa pensionistica allo scopo di risparmiare circa 2,1 miliardi di euro nel 2023 e 10 miliardi in tre anni. L’intervento è concentrato sulle pensioni di importi (relativamente) più elevati. Si tenga anche presente che il Governo è chiamato a gestire un aumento significativo della spesa per interessi sui titoli del debito pubblico che si attesta al 4,4% del PIL nel 2022, per passare al 3,7% nel 2023 e tornare a valori superiori al 4% del PIL negli anni successivi. Come ha fatto notare il sen. Cottarelli nella discussione parlamentare, non appare chiarissimo il motivo per cui gli interessi passivi si contraggano così significativamente nel 2023.
Il Governo sostiene, infine, nel DEF che il margine di bilancio recuperato rispetto allo scenario tendenziale (la differenza è tra un saldo primario a -0,8% nel quadro tendenziale e -0,6% nel quadro programmatico) sarà utilizzato per ridurre il cuneo fiscale in una misura di 3 miliardi (misura confermata con i provvedimenti del primo maggio e comunque finanziata solo per alcuni mesi del 2023). A questo provvedimento è associata una aspettativa di aumento del PIL di 0,1%. Si tratta di una riproposizione degli “80 Euro” del Governo Renzi, diventati nel frattempo strutturali per un ammontare di riduzione stabile del cuneo di 10 miliardi.
Il Governo inoltre sostiene che “il finanziamento degli interventi di politica di bilancio avverrà individuando le opportune coperture all’interno del bilancio pubblico, al fine di preservare la sostenibilità delle finanze pubbliche”. Questa affermazione chiarisce il percorso stretto scelto dal Governo Meloni: da un lato non si vuole dare l’impressione in alcun modo di uscire dal sentiero di rigore dei conti pubblici impostato dal Governo Draghi e dall’altro si ripropone la “promessa” del mantenimento di alcuni impegni programmatici come la riforma fiscale.
Un punto aperto è il processo di revisione della spesa. Il Governo promette il prosieguo di una “rinnovata attività di valutazione e revisione della spesa” anche in coerenza con la riforma abilitante del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR, riforma 1.13) che ha comportato, con l’entrata in funzione del DL 152/2021, un rafforzamento del ruolo del MEF nel presidio e monitoraggio e valutazione per rendere più efficace il processo di “spending review”. Al momento l’impegno si traduce in 1,5 miliardi di revisione in tre anni aggiuntivi rispetto a ciò che era già incorporato nella Legge di bilancio 2023, ovvero 5,7 miliardi entro il 2026. Su questo punto ci si sarebbe aspettato un impegno ben superiore.
Un ultimo punto riguarda il rapporto debito/Pil, fortemente condizionato sia dalla recente dinamica del deficit che dall’accrescersi della spesa per interessi, che ha portato il deficit in questi anni in un terreno fortemente negativo. Nello scenario programmatico si prevede di portare il debito dal 142,1% del PIL al 140,4% nel 2026. Su questo punto nel medio periodo ci sarà un impatto significativo che potrebbe derivare dal cambiamento delle regole del Patto di stabilità in corso di discussione a Bruxelles.
Con riferimento alle dinamiche tendenziali delle variabili macroeconomiche, il Governo registra un autentico crollo dei consumi che da una crescita del 3,5% nel 2022 passano a un valore di +0,1%, gli investimenti passano da +9,4% nel 2022 a +3,7% nel 2023, la produttività da una crescita positiva ad un anno di contrazione (-0,1% nel 2023) per poi riprendere valori positivi ma modesti (0,4% nel 2026) ed il tasso di disoccupazione cala intorno al 7%. Lo scenario programmatico permetterebbe di aumentare i consumi fino allo 0,7% nel 2023, ma non farebbe registrare significative modifiche delle componenti per investimenti. Quindi lo scenario del 2023 disegnato dal Governo è di un Paese che rallenta dopo l’impetuosa crescita del 2021 e del 2022. Una frenata che appare comunque ancora in grado di vederci davanti agli altri paesi europei sulla base delle prime stime.
Il DEF 2023, infine, oltre a fare il punto sugli effetti della manovra di bilancio 2023-2025 (decisa alla fine del 2022) ed a indicare gli effetti dei provvedimenti ulteriori presi nel corso del 2023 (il cd. Decreto energia), afferma sostanzialmente di confermare gli obiettivi programmatici di deficit del Documento programmatico di bilancio del 2022 (4,5% nel 2023, 3,7% nel 2024 e 3% nel 2025). Serve ricordare che i risparmi sulla spesa per le misure energetiche realizzati al marzo 2023 sono molto significativi (i prezzi dei beni energetici stanno scendendo significativamente) e sono stati stimati in 4,9 miliardi. Queste risorse sono state riassegnate per finanziare le misure di contenimento dei prezzi energetici (3,5 miliardi) e per il ripiano del superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici (1,08 miliardi). Anche in questo caso queste risorse avrebbero potuto essere utilizzate diversamente.
Nel pacchetto attuale di programmazione economica occorre menzionare il cosiddetto Programma nazionale di Riforma dove il Governo dichiara di volere aggiornare il PNRR rafforzando il capitolo dedicato alla transizione energetica, approfittando della possibilità di inserire deli investimenti del programma europeo RePowerEU introdotto dopo la crisi russo-ucraina. Si tratta di un intervento su cui non vi sono documenti ufficiali. L’unico elemento di novità di cui possiamo dire oggi è il cambiamento della governance del PNRR, passata dal MEF a Palazzo Chigi che però farà perdere al paese ulteriore tempo dopo la lunga transizione dal momento delle dimissioni del Governo Draghi e che è tra le principali motivazioni dei ritardi nella realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Abbiamo molto sinteticamente riportato i principali obiettivi del Governo sia per le variabili di finanza pubblica che per gli effetti che i provvedimenti potranno avere sul ciclo macroeconomico del Paese.
In sintesi si può dire che la lezione del governo Conte 1 e quella dello stesso Governo Truss in Gran Bretagna (che ha promesso irrealistici tagli di tasse), ma anche l’esperienza positiva del Governo Draghi condivisa da due forze dell’attuale maggioranza, ha suggerito un approccio chiaramente prudente, in cui la principale attenzione è quella di trasmettere un messaggio fortemente rassicurante sull’intenzione di questo Governo di muoversi con estrema cautela.
Gli spazi per le principali azioni di politica economica si sono creati con la revisione del Reddito di cittadinanza, operazione in parte condivisa anche da parte della maggioranza Draghi, con alcuni provvedimenti come la revisione dell’indicizzazione della spesa pensionistica, con alcuni eventi straordinari come le minori spese per le compensazioni energetiche e, soprattutto, rinunciando quasi totalmente a revisionare la spesa pubblica alla luce della dinamica inflazionistica. Questa ultima circostanza sarà significativamente pagata dal Paese in termini di impatto sulla qualità dei servizi. Questo obiettivo si sarebbe potuto perseguire attraverso interventi selettivi su alcuni settori (la sanità e l’istruzione tra tutti), procedendo a rafforzare la revisione della spesa pubblica da un lato e misure di contrasto all’evasione dall’altro.
La necessità di rassicurare i mercati finanziari da un lato, atteggiamento certamente opportuno, e di mantenere l’indubbia “luna di miele” con il Paese dall’altro, confermando il perseguimento di alcuni obiettivi programmatici, in ogni caso realizzati solo con riferimento al reddito di cittadinanza, lascia pensare che qualsiasi risultato positivo che si potrà ottenere grazie ad un minor rallentamento della crescita, ad una dinamica inflazionistica più contenuta (circostanza ancora tutta da realizzare), ad un miglioramento delle condizioni dei mercati energetici (che sta invece concretamente avvenendo) e gli effetti positivi dell’attuazione del PNRR potranno creare spazio ad alcuni degli interventi promessi, tra cui l’attuazione della delega fiscale. Il rischio di un sostanziale immobilismo “netto” dell’azione di governo è però purtroppo ancora in agguato.
Sul piano politico c’è da chiedersi se l’indubbio vantaggio di avere un governo autenticamente politico, dopo anni di governi anomali, non sia più che compensato dalla necessità del governo stesso di doversi costruire una credibilità sul rigore di bilancio, a differenza di un governo costruito su una maggioranza simile a quella del Governo Draghi. Non avremo mai la controprova ma l’impressione è che qualche prezzo il Paese lo stia pagando e che le vicende MES e PNRR non ci aiuteranno.
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