Esistono piccoli libri che riescono, in poche pagine, a essere terreno fertile in grado di suscitare pensieri e idee. È appena uscito un volume che si inquadra in questa categoria. A quasi un anno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, ecco nelle librerie un testo che può esser letto come una piccola risposta alla «voce tonante dei sostenitori russi e americani del “sino alla fine”». Già, scrive Egdar Morin, classe 1921, che le guerre del ‘900 (e oltre) le ha viste quasi tutte: il punto è proprio «dov’è la fine?».

L’autore, centenario filosofo e antropologo, di famiglia ebrea francese, attivo nella liberazione di Parigi dai nazisti nel 1944, non può essere tacciato di inesperienza. Lucido, nella sua ultima, ma ancora arzilla, fase della vita, si domanda: ancora guerra, propaganda, riarmo, violenza? Il titolo – Di guerra in guerra. Dal 1940 all’Ucraina invasa (Raffaelo Cortina Editore, 2023) – non lascia scampo e invita a una profonda riflessione sul susseguirsi delle guerre nel mondo. Il globo cambia, si evolve, si globalizza, ma non perde il vecchio, insano, vizio della corsa alle armi. Favorito, oggi come ieri, da un certo «sonnambulismo collettivo», che ha caratterizzato, ad esempio, l’Europa degli anni ’30, quando «ci fu l’impossibilità di credere all’occupazione della Francia» al pari dell’Europa dell’ultimo lustro.

Si badi: Morin non è un “pacifista a prescindere”. Anzi, sa discernere tra «ciò che è semplice (l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’opposizione fra democrazia occidentale e dispotismo russo) e ciò che è complesso (il contesto storico e geopolitico)». Tuttavia, il vero tarlo “filosofico” dell’autore è un altro. Vale a dire la sorpresa nel constatare che «si levino così poche voci in favore della pace delle nazioni più esposte, in primo luogo in quelle europee». Questo è, forse, l’aspetto più interessante della riflessione. In altri termini, sembrerebbe dire che non ci si può sorprendere del tutto per il fatto che la guerra ci sia.

Soprattutto se segue dei periodi di politica estera fondati sul principio di esclusione, e non di inclusione. Allo stesso tempo, ci si deve sorprendere (o indignare?) nel vedere, oggi, così poca coscienza collettiva sui danni e i rischi che la guerra, oltretutto alle porte dell’Europa, produce. Morin ripercorre le guerre che ha conosciuto, ne analizza le propagande e le degenerazioni, ricorda alcuni fatti personali. Per giungere, sembrerebbe, al titolo di un altro recente suo libro: Svegliamoci! (Mimesis, 2022). Il concetto che turba di più l’autore, è, in definitiva, quello dell’escalation militare. È da qui, infatti, che ogni conflitto trova nuova linfa, si allarga, giunge a fenomeni di distruzione di massa. Il lavoro per la pace è percepito come un’urgenza che si fonda su «lezioni di ottant’anni di storia».

Verrebbe, al lettore, da chiedere: e quindi? Qual è la concreta ricetta per raggiungere la pace, per l’Ucraina e le altre popolazioni vittime di guerre dimenticate. Il libro è ricco di dati e lezioni che vengono dal recente passato. Forse applicabili al presente. Ma non può, come fosse un appassionante giallo da spiaggia, rivelare all’ultimo capitolo la soluzione geniale. Non è compito di Morin, probabilmente. Per una ragione semplice: il suo dato anagrafico (102 anni). Questa è, in definitiva, l’età della profezia, della condivisione di esperienze, del racconto illuminato, della trasmissione del sapere, della memoria. È l’età in cui si può incidere sulla coscienza collettiva, ma non si può più pretendere di insegnare concrete strategie di azione. Per quanto, l’azione, in definitiva, è figlia del pensiero. E quello dell’ultra-centenario Morin è una scheggia che, lucidamente, interroga molte delle nostre coscienze.

  • Martino Liva

    Avvocato, consigliere dell’associazione di Città dell’uomo e coordinatore del Comitato dei sostenitori della Fondazione Ambrosianeum.