Una recente modifica dell’articolo 9 della Costituzione ne amplia la portata; richiama l’interesse delle future generazioni; introduce la tutela della biodiversità accanto a quella del patrimonio storico e artistico della Nazione (il passato) e dell’ambiente (il futuro) da parte della Repubblica, con la promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica, già prevista dal testo originario di questo “principio fondamentale”.
Quella modifica è passata nell’indifferenza generale, al di là delle solite celebrazioni retoriche. Eppure testimonia l’impegno doveroso alla transizione ecologica e a quella digitale: due svolte di grande rilievo per il futuro del pianeta, dell’Europa e del nostro paese di fronte al rischio del secondo diluvio universale, della seconda torre di Babele e dell’”algoritmo d’oro” al posto del biblico vitello d’oro.
È una modifica che testimonia l’attualità della nostra Costituzione con qualche adeguamento necessario; non con la sua demolizione in tutto o in parte, o con l’uso spregiudicato di essa per manovre politiche della quotidianità e della nostra perenne campagna elettorale.
Una Costituzione dunque attuale ma non attuata, almeno in parte, con l’alibi e la copertura delle sua anzianità che ne giustificherebbe il cambiamento.
Quella modifica è importante. Segnala il cambio di prospettiva dall’antropocentrismo esasperato al suo equilibrio con l’ecocentrismo anche attraverso l’impegno alla tutela della biodiversità. Quest’ultima va scomparendo velocemente ma è uno degli indici più significativi della sostenibilità ambientale, aggredita e mesa in crisi dalla logica del profitto e del potere. Le specie animali e vegetali sono minacciate da sovrasfruttamento, inquinamento, specie aliene, cambiamento climatico. Si rischia di perdere una ricchezza della natura che si esprime nella diversità genetica delle specie e degli ecosistemi; ma negli ultimi cinquanta anni ha registrato l’aumento e la crescita a livelli non più sostenibili dei danni da disboscamento e da caccia.
La biodiversità assume un significato particolare nel suo riferimento non solo alle specie vegetali e animali, ma altresì e prima di tutto alla specie (non alla razza!) umana. Anche quest’ultima è espressione della diversità nelle forme di vita sulla terra. Anzi, è uno dei primi parametri per l’equilibrio tra l’attuazione dell’eguaglianza di tutti e il rispetto delle diversità di ciascuno (compresi soprattutto i più fragili) senza cadere nella discriminazione e nella sopraffazione del “diverso”, anche grazie alla solidarietà.
La biodiversità nella specie umana si sviluppa in una duplice prospettiva: la diversità biologica e quella culturale, non separabile dalla prima come parte integrante della biodiversità. Essa comprende fra l’altro le culture, le religioni, le lingue, le filosofie, le tradizioni e la medicina delle diverse e numerose società e collettività umane.
È una riflessione che si fonda soprattutto sulle conclusioni di una verifica promossa da Papa Francesco nel 2019 sulle condizioni dell’Amazzonia. Quest’ultima è una regione alla quale partecipano territori di nove paesi dell’America Latina. Concentra il 20% dell’acqua dolce non congelata; il 34% dei boschi primari; il 30-40% della fauna e della flora; 1/3 delle piogge sulla terra; trecentonovanta popoli; duecentoquaranta lingue; trentatré milioni di abitanti.
Si tratta di un insieme di popoli con ricchezza di lingue, culture, riti e tradizioni; di un serbatoio di biodiversità vegetale, animale, umana e di diversità culturale e religiosa senza pari al mondo.
L’Amazzonia con le sue risorse ed equilibri naturali, con i suoi popoli indigeni e le sue comunità tradizionali, le sue usanze, è minacciata dalla violenza sistematica dello sfruttamento ambientale; dal contrasto fra quella violenza e i diritti fondamentali dei singoli e delle comunità tradizionali; dalla deforestazione e da interessi economici predatori; dal contrasto tra la rapina ecologica e la bellezza naturale.
Le condizioni attuali di quel serbatoio sono state constatate e denunziate dall’ecologista Papa Francesco nella Esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia” (Amata Amazzonia) del 2020. Essa si conclude con la proposta di quattro “sogni” ecologici: a difesa dei diritti degli ultimi e dei più deboli; delle ricchezze culturali; della bellezza naturale; infine della convivenza fra le religioni e di attuazione del messaggio ecclesiale cristiano.
Nella prospettiva del bene comune le prime tre forme di ecologia rappresentano per tutti e ciascuno – al di là delle convinzioni e opinioni religiose – un forte ed urgente impegno per un approccio sociale, culturale ed ecologico a livello globale, al fine di rispondere ai grandi problemi delle diseguaglianze, della pandemia, della guerra, della crisi ambientale, geopolitica ed economica. Quei problemi coinvolgono tutti noi non solo a livello globale, ma anche nazionale e personale.
A tal fine assume rilievo altresì il richiamo dell’articolo 9 riformato agli ecosistemi: quindi all’equilibrio fra le componenti di quei sistemi, fra cui possiamo e dobbiamo annoverare anche l’equilibrio tra pace e guerra, tra natura e profitto/potere, tra passato e futuro, tra eguaglianza e diversità, anche grazie alla cultura.
È questo l’augurio più significativo che mi sembra si possa rivolgere all’articolo 9 riformato: rispondere al “patto dell’arcobaleno” che accolse Noè all’uscita dall’arca dopo il primo diluvio universale; riproporre il linguaggio dei fiori, dei frutti, degli alberi e della terra descritto dal Cantico.
(Foto Salvatore Migliari, CC BY 3.0)