L’appuntamento del dies academicus dell’Università Cattolica che ogni anno si celebra costituisce un’occasione propizia per riflettere e interrogarsi sul nesso che lega origini e attualità di un progetto. Giunge dunque a proposito la pubblicazione del presente saggio di Luciano Pazzaglia . Come noto Gemelli medico, allievo di C. Golgi e psicologo, è stato il fondatore nel 1921 della Cattolica, rimanendone rettore sino alla scomparsa del 1959. Centrale in lui è il tema delle responsabilità della cultura cattolica, del rapporto tra fede e scienza nel quadro di una ferma rivendicazione di una ricerca scientifica da un lato abilitata a procedere iuxta propria principia, dall’altro aliena da mistificazioni antireligiose. Dunque un’università la cui missione è da lui individuata nell’impegno a misurarsi con le correnti del pensiero moderno e contemporaneo, nonché a rendere un servizio alla Chiesa nel segno di un aggiornamento della vita e della cultura cattolica. Come Gemelli scrive nel famoso articolo del 1914 pubblicato su “Vita e Pensiero”, dal titolo emblematico “Medievalismo”: “mettersi in contatto col mondo moderno, rivivere la concezione cristiana ridotta a ciò che essa ha di essenziale in funzione delle moderne esigenze del pensiero”. Una prospettiva modellata sull’esempio dei maestri dell’Università di Parigi in pieno Medioevo. Lungo questa linea Pazzaglia persuasivamente documenta come Gemelli fa i conti con il proprio iniziale appassionamento per il modernismo. Al di là delle versioni in cui tale movimento viene manifestandosi – teologico-filosofica, storico-filologica, socio-politica –per Gemelli esso costituisce “una sorta di malattia che sarebbe stato necessario attraversare per poterne uscire e guadagnare, alla fine, la salvezza”.
A questo approdo Gemelli perviene attraverso un percorso ricostruito dallo studioso attraverso fonti documentarie di prima mano, in cui la conversione alla fede cristiana rappresenta un passaggio decisivo. Non una conversione subitanea, ma esito conclusivo di una lunga maturazione che vede Gemelli prender progressivamente le distanze dall’educazione familiare, dalla propria formazione giovanile, dalle convinzioni di impronta positivistica e materialistica, cresciute a stretto contatto con la cultura scientista dell’Università di Pavia in cui si laurea. Sono soprattutto l’amicizia con L. Necchi, già compagno liceale al “Parini”, un giovane dalla profonda fede religiosa, la frequentazione di alcuni sacerdoti del seminario pavese, il sodalizio con i commilitoni francescani al tempo del proprio volontariato militare – particolarmente con A. Mazzotti, uno studente in teologia originario di Cologne – a far avvertire a Gemelli “il bisogno di uscire dalle condizioni spirituali e morali nelle quali era sino a quel momento vissuto”. Siamo tra il 1902 e il 1903. Su suggerimento di Necchi, Gemelli incontra don G. Pini della biblioteca Ambrosiana, che Pazzaglia definisce la “persona più adatta per aiutare il giovane medico a far luce su sé stesso”.
Grazie al suo sostegno spirituale Gemelli riesce a raggiungere –sono parole sue – “l’orlo del fossato” sino a compiere il salto che lo conduce alla comunione eucaristica del 9 aprile 1903. Oltre alle circostanze richiamate però è soprattutto una non resistibile “propulsione” a portare Gemelli a consegnare a Dio la sua vita, dando così sbocco al proprio travaglio interiore. Il passo dalla conversione alla vocazione religiosa, sulle orme di San Francesco, è breve: l’ascolto di una chiamata che lo interpella “a darsi a Cristo dalla testa ai piedi”, rendendo irreversibile la sua scelta, nonostante la contrarietà dei genitori, fino a un lacerante conflitto, e la bagarre giornalistica che sul suo caso si scatena assumendolo ad esempio di “suicidio dell’intelligenza”. In realtà un caso emblematico di quella rinascita religiosa che segna in Italia gli inizi del Novecento, accompagnando la ripresa della cultura cattolica sino alla fondazione di un ateneo destinato ad offrire un contributo altamente significativo alla vita universitaria, e non solo, del Paese.