A pochi giorni dall’esito del voto venti personalità della società, della cultura e della politica che si riconoscono nel campo progressista hanno sottoscritto un documento che qui riproduciamo dal significativo titolo Campo progressista, imparare la lezione e ripartire insieme. Dopo la pubblicazione, nel giro di poche ore, sono fioccate mille adesioni, alcune assai significative. Proviamo a fissarne qui il senso.

La premessa è la seguente: la larga vittoria della destra rappresenta una bruciante sconfitta per l’intero fronte cosiddetto progressista. Una sconfitta comune, anche di chi – il riferimento è in particolare al M5S, che ha ottenuto un buon risultato di lista, smentendo così quanti lo davano per votato all’estinzione – potrebbe essere tentato di ragionare in un’ottica particolaristica. Solo se si conviene su questa premessa ovvero sulla consapevolezza di una generale, comune sconfitta, ciò che segue acquista senso. Nell’ordine: la convinzione che la divisione del campo progressista sia stata un grave errore ascrivibile a molteplici responsabilità (un po’ tutti ci hanno messo del loro); l’urgenza di avviare un processo volto a ricomporre l’unità di quel campo all’insegna del vecchio motto ulivista “è escluso solo chi si esclude” da tale campo; la convinzione che si debba allestire un cantiere largo, plurale e inclusivo nel quale ingaggiare un confronto trasversale agli attuali attori (in una logica processuale, senza la pretesa di stabilire sin d’ora l’esito di esso, il futuro, concreto assetto del campo progressista); la evidenza dell’esigenza di una marcata discontinuità rispetto al passato nel segno di una politica meno timida e subalterna a un moderatismo che ha contribuito a produrre un divorzio dalla sensibilità popolare, una distanza dalla sofferenza sociale che affligge il paese, nonché un vistoso difetto di attrattiva/appetibilità della offerta politica delle forze alternative alla destra.

Palesemente l’appello è indirizzato non solo ai partiti, ma anche a realtà sociali e a esperienze associative ascrivibili a quel campo in senso lato. E tuttavia, in forma esplicita, si menzionano due precisi interlocutori politici: il PD e il M5S. Al primo si chiede di mettersi radicalmente in discussione, di non esorcizzare la propria debacle con il consueto avvicendamento del proprio segretario senza una elaborazione/discussione politica che piuttosto vada alla radice dell’identità irrisolta del partito in quanto tale. Sino a considerare l’ipotesi di un proprio superamento. Un PD che abbia il coraggio di andare oltre se stesso. Al M5S si chiede di non cullarsi nell’illusione di bastare a se stesso, di non coltivare la pretesa del monopolio nella rappresentanza della sinistra, di rassicurare che il recente approdo a posizioni laburiste e di sinistra rappresenti non l’escamotage di una campagna elettorale, ma, auspicabilmente, l’esito di un chiarimento identitario definitivo. Senza appellarsi a sofistici distinguo lessicali tipo la distinzione tra “progressista” e “di sinistra”.

Abbiamo ragione di ritenere che i promotori e i firmatari del testo siano consapevoli che la sollecitazione a riprendere il filo di un rapporto unitario richiederà tempo, che si dovranno smaltire le tossine della contesa elettorale, ma che non si danno alternative a un processo che dapprima conduca a raccordare le opposizioni al governo di una destra che dispone di una ingente maggioranza parlamentare e, in prospettiva, a organizzare una offerta politica competitiva e nitidamente alternativa ad essa. Si potrebbe dire così: non c’è salvezza per nessuno se non insieme, grazie a una reciproca, positiva contaminazione tra tutti i soggetti sociali e politici a vario titolo ascrivibili al campo progressista. Ciascuno deve fare la propria parte con spirito di umiltà e di generosità nel nome di un’ambizione più grande e nel superiore interesse del paese. La nostra rivista “Appunti”, pur in tutt’altro contesto, a fine anni settanta, sempre per iniziativa di cattolici democratici come Pietro Scoppola e Achille Ardigò, esordì all’insegna della cosiddetta “cultura dell’intesa” per propiziare una collaborazione larga e plurale tra culture e forze politiche democratiche e progressiste. Lo spirito è ancora quello.

 

 

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  • Franco Monaco

    Pubblicista, già presidente dell’associazione «Città dell’uomo» e parlamentare della Repubblica; fa parte del gruppo di coordinamento della rivista web Appunti di cultura e politica.