Recensire l’ultimo libro di Mimmo Franzinelli è senza dubbio un’impresa. Si può infatti star certi che già un altro lavoro è in gestazione, se non addirittura in corso di stampa. Non resta allora che misurarsi con la più recente novità editoriale a lui dovuta. Vale a dire con questa sua breve, ma densa analisi – un esercizio di fact cheking, di accertamento – con li quale sottopone a verifica alcuni luoghi comuni in circolazione presso larghi settori di opinione pubblica secondo i quali il fascismo sarebbe stato definitivamente sepolto con la morte di Mussolini, ormai un semplice, irrilevante detrito sopravvissuto ad una rottura definitivamente consumata col passato, con quanto esso ha rappresentato. In realtà, ad un secolo di distanza dalla marcia su Roma, le cronache registrano una presenza – nella vita politica e amministrativa, nel campo della comunicazione, nel dibattito culturale-ideologico, nelle diverse articolazioni della società – che dice di indubbi fattori di continuità tra le esperienze del regime e la successiva vicenda repubblicana. Nonostante la Resistenza, la liberazione dal nazifascismo e l’ordinamento costituzionale che ne costituisce l’esito. Una tesi, questa, che ha avuto la sua teorizzazione a partire, in sede storiografica, soprattutto ad opera di uno studioso del calibro di Claudio Pavone. Ebbene la ricognizione di Franzinelli, sempre puntuale e suffragata da una straordinaria conoscenza delle fonti, si muove in tre direzioni: da un lato l’esemplificazione di alcuni casi significativi di continuità dello Stato, negli uomini e negli apparati, dall’altro una mappatura di movimenti e formazioni politiche che al fascismo storico fanno riferimento, partecipando alla lotta politica contemporanea, infine quella che lo storico definisce come “guerra di simboli” tesa ad un recupero, dagli anni Cinquanta ad oggi, della memoria fascista. Gli esiti fallimentari dell’epurazione, l’amnistia del guardasigilli Togliatti gestita da giudici largamente favorevoli agli imputati fascisti, i processi a carico di ex-partigiani, l’autotutela operata da apparati nevralgici quali la magistratura, l’università, le forze armate, non consentono una transizione alla democrazia in grado di recidere completamente quel filo nero che impedisce, come annota Pietro Calamandrei, di “creare una nuova legalità”.
Emblematici alcuni casi di poliziotti, prefetti, magistrati, docenti universitari che puntualmente Franzinelli ricostruisce: da Guido Leto, il “regista” dell’Ovra, l’organismo di repressione antifascista, a Marcello Guida, già direttore della colonia penale di Ventotene, a Gaetano Azzariti, “giurista militante” già capo dell’ufficio legislativo del ministero di Grazia e Giustizia, tutti personaggi destinati a ricoprire ruoli di spicco nell’Italia repubblicana. Se è vero che il fascismo storico non è ritornato e non ritorna, pur tuttavia dal 1946 il Movimento sociale ha giocato ruoli non irrilevanti e tuttora il microcosmo della proteiforme destra radicale è animato da gruppi “sospesi tra costituirsi in partito, aggregazioni a sfondo sociale, movimenti politici e circuiti culturali” che utilizzano lo spazio democratico e i fattori di crisi della democrazia per propugnare soluzioni autoritarie. Su tutti i fascisti del III Millennio, da Forza Nuova a Casa Pound, per non dire di alcune preoccupanti somiglianze di famiglia che il populismo contemporaneo appalesa con il fascismo del Ventennio, nonché di mai completamente smentiti riferimenti al mito di Mussolini da parte di talune formazioni oggi sulla cresta dell’onda. Un Mussolini “dittatore riluttante”, un fascismo “ dal volto umano”, “dittatura tollerante”, guidata da “un politico votato alla grandezza della patria”, un regime artefice di “molte cose buone”. E ancora: il tentativo di separarlo, secondo la vulgata del cattivo tedesco e del buon italiano, dal suo alleato nazista, al quale esclusivamente vengono imputati persecuzioni razziali e crimini di guerra, nonché la contrarietà di molte amministrazioni a cancellare la cittadinanza onoraria attribuita al Duce. Una lettura distorcente , una memoria assolutoria – la defascistizzazione del fascismo – e stereotipi dai quali, come ha sostenuto Sergio Mattarella, possono scaturire “nuovi mostri”.