Le sinistre sono in difficoltà in tutto il mondo occidentale, per la perdita di elettorato tra le classi popolari (il
“grande esodo”, tendenzialmente verso formazioni populiste di destra o in misura minore di sinistra
radicale), che conduce come corrispettivo alla più grande incertezza della loro identità politica. Questo
fenomeno, accanto ad altre tendenze dell’economia mondiale (globalizzazione e innovazione tecnologica),
ha causato l’aumento delle diseguaglianze nei paesi avanzati e la separazione di quel vincolo tra capitalismo
e democrazia che aveva dominato il trentennio successivo al dopoguerra. Intendendo per capitalismo un
sistema di economia di mercato libera e competitiva in grado di portare benessere economico e per
democrazia un sistema istituzionale pluralistico in grado di regolare il mercato e di introdurre elementi di
uguaglianza tali da rendere più inclusivo il beneficio della tendenza diffusa verso il benessere.
Bisogna arrendersi a questa tendenza, dando conseguentemente ragione ai profeti dell’irriconciliabilità tra
capitalismo e democrazia, che stanno sia a destra che a sinistra dello spettro intellettuale e politico? Carlo
Trigilia è convinto di no e prova ad argomentare in questo volume una via alternativa, basata su un ampio
studio collettivo dedicato alle nuove diseguaglianze e ai modelli di capitalismo, di cui in questo libretto è
contenuta una sintesi chiara e concisa, con una applicazione più chiaramente progettuale e prescrittiva.
L’osservazione parte dalla divisione del mondo occidentale in quattro grandi categorie di democrazie, le
quali tutte hanno registrato i fenomeni generali sopra descritti, ma in termini non omogenei tra loro: i paesi
della crescita non inclusiva, a più alto tasso di diseguaglianza, minor contributo del Welfare e delle relazioni
industriali e istituzioni di mercato liberiste (paesi anglosassoni); i paesi della crescita inclusiva, che
comprendono a loro volta due versioni: quelli più ugualitari (democrazie scandinave) e quelli più dualistici
(paesi continentali dalla Francia a Germania); i paesi della bassa crescita non inclusiva (i paesi mediterranei,
tra cui sostanzialmente l’Italia), in cui un alto tasso di diseguaglianze si accompagna a condizioni di basso
sviluppo della produttività e di debolezza del capitalismo.
Il punto è che la differenza tra questi modelli si sviluppa attorno a percorsi storici particolari ma anche a
ipotesi diverse di sviluppo sia politico che istituzionale. Mentre i paesi anglosassoni sono in generale
democrazie maggioritarie in cui anche i partiti di sinistra sono più sensibili all’appello liberale, i paesi
dell’Europa nordica e continentale hanno visto in generale costruirsi nel tempo diverse sfumature di un
modello di democrazia “negoziale”, cioè ispirata alla dinamica di contrattazione tra interessi in cui la
centralizzazione delle relazioni industriali permette uno scambio politico tra sindacati e imprenditori, che
accompagna una maggiore inclusività di settori sociali protetti (comprendendo anche i lavoratori dei servizi
a bassa qualificazione). Tale centralità va insieme ad alta tassazione ed alte spese di Welfare, ricombinate
però in modo da offrire non solo tutele individuali ai garantiti ma anche “risorse pubbliche collettive” come
istruzione e ricerca, utili anche al mondo delle imprese proprio per consolidare il capitalismo. Questo
sistema vede protagonisti più marcati (anche se naturalmente non privi di problemi) partiti di sinistra
(social-)democratica, che conservano maggior legame alle classi popolari (tradizionali e nuove), nonostante
la tendenza anche in questi casi verso l’allargamento del loro elettorato in direzione del ceto medio.
In sostanza, il caso italiano mostra secondo Trigilia la somma dei limiti di un sistema più acerbo di relazioni
industriali e di un Welfare costoso ma troppo concentrato sulle spese passive (pensioni e trasferimenti),
con quelli di un modello politico maggioritario irrisolto, che non ha permesso ai partiti di sinistra (al
principale di loro, il Pd), di essere libero di coltivare una propria base elettorale e di consenso popolare.
L’ipotesi del volume è quindi una ridiscussione di questo itinerario, che porti a confrontarsi con i modelli
diversi dell’Europa continentale e nordica, suggerendo la tendenziale praticabilità del modello di
“democrazia negoziale”, con tutti gli ingredienti sopra riportati. Una tesi insomma di grande interesse, da
discutere a fondo, anche in correlazione al dibattito post-sconfitta elettorale della sinistra.