Si è detto, da più parti, che l’obiettivo dell’Ucraina è da tempo, da Piazza Maidan (2014), quello di trovare una collocazione “europea”, e che questo significa, in primo luogo, entrare nell’Unione europea (Ue). E sarebbe stata questa aspirazione, legittima, ad avere provocato la reazione di Putin e l’invasione russa del Paese. Abbiamo dubbi su questo. Essendo, e da tempo, l’obiettivo principale dell’Ucraina quello di entrare a far parte della Nato, alleanza militare e politica che comprende un numero di paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti, più ampio dell’Ue.
Le differenze tra Unione europea e Nato
Perché sottolineiamo questo fatto? Appartenere alla famiglia europea significa entrare in una comunità che ha alla base la difesa dei diritti umani e della democrazia. La costruzione di uno Stato di diritto e la volontà di condividere, in una comunità, interessi economici e sociali. La partecipazione a un mercato unico.
Ben diversa l’appartenenza alla Nato, una alleanza militare. Una alleanza che fece dire al Segretario di Stato americano James Baker, dopo la riunificazione tedesca, che non si sarebbe allargata “neanche di un pollice” verso la Russia. Le cose sono andate diversamente con l’entrata nella Nato dei tre paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e poi di Romania, Bulgaria, oltre che Polonia e Ungheria. Sorprende che una questione essenziale per la collocazione internazionale del Paese sia stata pensata senza porsi il problema di una coesistenza pacifica con la Russia.
Molti hanno richiamato, in questo senso, l’opportunità di una conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa sul modello di quella di Helsinki del 1975 alla quale parteciparono Stati Uniti e Russia. Assistiamo quindi a uno scenario dove ingresso nella Nato e adesione all’Ue sembrano, e in effetti sono diventati, complementari. L’uno non esclude l’altra. Entrambe le prospettive però sollevano seri problemi.
È certo che in queste dinamiche vadano ricercate le cause del conflitto russo-ucraino. La questione Nato è sicuramente quella dirimente, almeno dal punto di vista delle relazioni con la Russia. L’aspirazione dell’Ucraina a far parte dell’Unione europea si pone su un piano diverso: si tratta dell’integrazione in una “Comunità sempre più stretta”, come dicono i Trattati Ue.
L’allargamento all’Ucraina: la questione della sicurezza
E allora avviciniamoci al tema di questo possibile “allargamento”. Negli scorsi decenni questo processo ha riguardato almeno due decine di Paesi accolti nella grande “famiglia europea”. Così fu, la prima volta, per Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca nel 1973 e poi a seguire sino a raggiungere 28 Stati membri. C’è poi stata la Brexit e i Paesi dell’Unione europea sono diventati 27. Adesso se ne torna a parlare per almeno una decina di Paesi che sono in lista d’attesa, dai Paesi dei Balcani occidentali (Serbia, Montenegro, Albania, Macedonia del Nord, Bosnia-Erzegovina) alla Turchia (che lo è in verità dal 1964!), e poi più in là sino alla Georgia e la Moldova.
Tra i Paesi di questa lista c’è proprio l’Ucraina. Se ne parla, giustamente, soprattutto perché tocca direttamente il possibile negoziato sulla guerra scoppiata dopo l’invasione russa del febbraio 2022. Il suo ingresso nell’Unione, infatti, potrebbe compensare la rinuncia a far parte della Nato (una delle ragioni principali, come detto, per capire l’atteggiamento russo sull’adesione dell’Ucraina all’alleanza politico-militare “occidentale”, a due passi da casa). Il problema è richiamato nelle diverse bozze delle proposte di pace di Trump e dell’Europa (e anche del russo Dmitriev, dicono in tanti) per il conflitto russo-ucraino (si è passati da 28 ai 19 punti attuali). La possibile, futura adesione all’Ue sembrerebbe uno dei punti più praticabili. L’Unione è favorevole ed ha già firmato a questo proposito ”protocolli d’intenti” con l’Ucraina. Almeno su questo punto sarebbe più facile raggiungere un accordo.
Di più, anche se non lo dicono in molti, l’eventuale adesione all’Ue costituirebbe una ulteriore garanzia di sicurezza per il nuovo Stato membro. Si parla molto dell’art. 5 della Nato. Quello che prevede, a certe condizioni che, gli altri membri sarebbero pronti a difendere uno Stato dell’Alleanza in caso di attacco. Pochi dicono (o sanno) che l’articolo 42, comma 7, del Trattato dell’Unione europea offre condizioni vantaggiose e più incisive di “solidarietà” per uno Stato membro che ne abbia bisogno. “Con tutti i mezzi necessari” dice questo articolo.
Perché da parte di molti si insiste esclusivamente sulla Nato? Facile la risposta. La Nato, Alleanza euro-atlantica, non comprende solo l’Europa. Ci sono anche, e di gran lunga con la loro potenza, gli Stati Uniti. È per questa ragione che gli ultimi allargamenti Nato ad Est sono stati contemporanei o hanno spesso preceduto gli allargamenti dell’Ue. L’appartenenza alla Nato, secondo la percezione di questi Paesi, è stata più importante dell’adesione all’Ue.
Un negoziato non semplice: i punti in gioco
In ogni caso si rischia di sovrapporre due piani che sono distinti. E si eludono o si ignorano anche i molti altri problemi che incontrano i potenziali candidati nei negoziati d’adesione all’Unione. Ci sono i cosiddetti “criteri di Copenaghen” (del 1993), quelli che richiedono ai candidati il rispetto dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti umani. E poi c’è il cosiddetto “acquis communautaire”, cioè il recepimento di tutte le regole che l’Unione si è data al momento dell’eventuale adesione di un Paese. Roba da poco? Migliaia e migliaia di regolamenti e direttive che riguardano la vita economica e sociale, i rapporti civili estesi a tutti i cittadini, le relazioni tra gli Stati membri.
In questo caso, com’è stato sinora, entra in campo il “pilota automatico” della Commissione europea. Si tratta di veri e propri team che negoziano, con analoghi interlocutori del Paese candidato, ben 32-35 capitoli (dalle questioni economiche, della concorrenza e dell’esistenza del mercato unico, alle politiche – agricola e di coesione – ai temi della democrazia, del rispetto delle leggi comunitarie, del rispetto di importanti diritti umani ecc…). È un negoziato relativamente semplice. C’è un punto di partenza (lo stato dell’arte nella situazione del Paese candidato) e il confronto con il punto d’arrivo (ovvero gli obiettivi già raggiunti dall’Unione europea nei diversi campi). Secondo le esperienze del passato questo negoziato è in realtà un processo a senso unico. Al massimo si può discutere di uno o più periodi di transizione su una o più materie tra quelle di cui si discute. Così è stato sinora.
Si intuisce, credo, la quantità e varietà di situazioni che potrebbero crearsi con un Paese come l’Ucraina che, pur essendo in uno stato di guerra, non è esente da gravissimi problemi di corruzione che hanno toccato i vertici del governo, con ministri costretti alle dimissioni, ultimo il braccio destro di Zelensky, Andrij Jermak, come altri responsabili di importanti aziende statali.
E non si può non parlare di uno dei problemi più concreti, ed attualissimo, che si pongono in vista della possibile adesione di questo e degli altri Paesi candidati. Si tratta del bilancio europeo, della disponibilità di risorse adeguate e della loro suddivisione. Si discute in questi mesi del prossimo bilancio pluriennale dell’Unione europea, dal 2028 al 2034. Già il fatto stesso che si tratti di un piano pluriennale di sette anni la dice lunga sull’approssimazione con cui l’Unione europea è in grado di affrontare problemi che riguardano le sue prospettive. La questione vera, tuttavia, riguarda l’entità di queste risorse. Stiamo parlando di circa l’1% del Pil dell’intera Unione. Qualche decimale in più si è ottenuto negli anni passati al prezzo di duri negoziati che hanno visto protagonista il Parlamento europeo. Ma tant’è. I governi nazionali, quasi tutti, non vogliono superare certi limiti e le risorse da redistribuire per le varie politiche comunitarie sono rimaste le stesse, sempre inadeguate.
La domanda semplice da porsi è la seguente: come si pensa di prevedere in tempi ravvicinati, i prossimi 4-5 anni, l’adesione di Ucraina ed eventualmente di altri Paesi candidati con lo stesso bilancio? Per tutti, basta un solo esempio, la politica agricola comune (PAC). Come si pensa di ripartire la stessa torta (oggi circa il 30% del bilancio comunitario) con l’ingresso di un Paese, l’Ucraina, che dispone di una enorme area agricola? Cosa ne penserebbero agricoltori italiani o francesi che vedrebbero ridursi, con una nuova ripartizione, le risorse attualmente a loro disposizione?
Favorire una tregua? La prova per l’Unione
Tutto si può fare. Giusto pensare a una corsia preferenziale per l’Ucraina, se l’adesione all’Ue fosse utile a raggiungere le condizioni di una tregua, un armistizio, si spera la pace, nella guerra contro la Russia. Il Presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa ha parlato di “pushing” rispetto a negoziati accelerati.
Anche in questo caso, però, si aprirebbero serie contraddizioni e ingiustizie evidenti tra i partner di un’Unione divenuta squilibrata nelle sue fondamenta.
Insomma un bel pasticcio rispetto al quale si può dire che:
- va bene la previsione di un allargamento all’Ucraina (anche con procedure accelerate e la scelta di corsie preferenziali nel negoziato);
- è inevitabile il ricorso a decisioni coraggiose per la riforma delle attuali istituzioni europee per quanto riguarda il loro funzionamento (superamento dell’unanimità in essenziali campi come la politica estera quella fiscale);
- è necessaria l’adozione di un bilancio adeguato a fronteggiare il finanziamento delle politiche attuali ed altre che certamente in futuro si potrebbe ritenere di affrontare a livello comunitario.
Non si può pensare di sfuggire a questi interrogativi con artifici burocratici come quelli che la Commissione presieduta da Ursula von der Leyn sta cercando di mettere in pratica accentrando la gestione delle risorse del “magro“ bilancio europeo per affidarlo ad un negoziato bilaterale con i singoli Stati nazionali e, contemporaneamente, prospettare una promessa di allargamento in tempi rapidi.
Non si può pensare, infine, di mascherare le prossime adesioni all’Ue con l’inevitabile allargamento della Nato. Sarebbe l’inizio di un definitivo smarrimento della sua vocazione originale che è quella di “mettere in comune” istituzioni, politiche e risorse.
Una dura prova aspetta, dunque, l’Unione europea. Certamente deve far di tutto per essere protagonista di trattative e negoziati che contribuiscano a portare la pace in Ucraina. Ma anche per questo, al tempo stesso, deve fare passi in avanti coraggiosi verso l’integrazione. Una prova di maturità di cui oggi non si vedono segni adeguati.
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