Se lo sguardo dell’opinione pubblica è calamitato dal conflitto ucraino-russo e da quanto sta avvenendo in Medio Oriente con la criminale offensiva scatenata da Netanyahu nei confronti del popolo palestinese (almeno fino all’attuale fragile tregua), la politica internazionale non perde certamente di vista strategia e mosse del gigante cinese. Esso a fronte del protezionismo di Trump, del suo conclamato sovranismo, del disimpegno unilaterale adottato, può sfruttare inedite opportunità in vista della conquista del primato mondiale. Il disegno di Xi Jinping è chiaro: da un lato porre termine ad una parentesi storica protrattasi a partire dalle guerre dell’oppio che hanno segnato fra il 1839 e il 1842 poi tra il 1856 e il 1860 il primo scontro tra Occidente e Cina cui hanno fatto seguito dominio coloniale e sconfitte militari; dall’altro lato affermare una propria egemonia e conquistare un ruolo baricentrico in un quadro geopolitico in rapida evoluzione. Inevitabile, dunque, la competizione con gli Stati Uniti, in quello che nella visione cinese si prospetta come un progressivo logoramento di una leadership che con Trump vede incrinata l’unità dell’Occidente, solo a considerare le ricorrenti tensioni con gli storici alleati europei, alimentate da un presidente che sta indebolendo la Nato e minando le tradizionali coordinate transatlantiche.
L’occasione Trump
Dunque, Trump – è la tesi formulata in un saggio dovuto all’ex segretario generale del Ministero degli esteri Ettore Sequi – per Xi Jinping non è tanto una minaccia quanto un’occasione da cogliere in vista della sostituzione del secolo americano col secolo cinese. Sulla base di alcune condizioni da realizzare. Anzitutto la conferma della stabilità del modello politico-sociale interno da assicurare attraverso il consolidato autoritarismo comunista e mediante una strategia economica volta alla crescita facendo leva sui consumi interni e sui vantaggi derivanti da una esportazione volta non solo in direzione dei tradizionali mercati, ma pure dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia centrale in modo da assurgere a partner commerciale di prima grandezza. Emblematici inoltre i casi del Giappone e della Corea del Sud da sempre allineati agli Usa e ora sottoposti a dazi che spingono Pechino a promuovere relazioni sino a ieri imprevedibili, rese agibili anche dal ritiro americano dal partenariato transpacifico già col primo mandato di Donald Trump. In secondo luogo, da parte cinese straordinari investimenti per conquistare la sovranità tecnologica: una formidabile chiave di successo per quell’ordine digitale alternativo cui il neo “Impero celeste” aspira. Si pensi a tutto il campo dell’intelligenza artificiale dove si registrano strepitosi risultati a costi sensibilmente inferiori rispetto alla concorrenza americana, e a quello della automazione. Nel complesso dunque una competizione – la Russia di Putin può essere tuttalpiù un deuteragonista – che vede Trump produrre disordine, continua oscillazione di scelte, mettere in crisi il proprio unipolarismo, e Xi Jinping promettere ordine e continuità, pianificare per tempo le proprie strategie senza ondeggiamenti, nonché presentarsi all’Europa come possibile partner di cooperazione economica in vista di un paradigma geopolitico che non solo prenda atto del declino statunitense, ma si regga su di una sostituzione di leadership planetaria.
La variabile Taiwan
A fronte di tutto questo resta l’enigma di Taiwan, rispetto al quale Trump costituisce una sfida difficilmente prevedibile, una variabile fuori controllo: un rischio da calcolare per i cinesi senza certezze di sicura approssimazione, sino al riconoscimento da parte americana di una indipendenza da non mettere in discussione e tantomeno da revocare. Anche in questo caso, tuttavia, è da riscontrare l’assenza di una chiara, inequivocabile strategia Usa. La Cina può così accentuare il proprio accerchiamento, accompagnare insistite campagne di propaganda a forme le più disparate di deterrenza, procedere a iniziative di logoramento commerciale e isolamento diplomatico dell’isola. Del resto, se è permesso all’invasore Putin di annettersi Crimea e Donbass, come impedire alla Cina di tornare a Taiwan?
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