Viviamo in un mondo che fa spreco di parole e si bea di immagini brillanti a ritmo continuo. Del discorso c.d. “sullo stato dell’Unione 2025”, pronunciato nei giorni scorsi a Strasburgo da Ursula von der Leyen ho trattenuto, per i fini che maggiormente ci interessano, quattro elementi di un certo spessore.

Manca un obiettivo istituzionale nel discorso di von der Leyen

Essi sono: l’immagine del “muro europeo” da erigere, rafforzato, contro l’aggressività russa e l’indifferenza, se non l’ostilità, degli Stati Uniti d’America; il grido di dolore, stilisticamente efficace, consegnato alle frasi iniziali della Presidente: “L’Europa è impegnata in una lotta per un continente integro, che viva in pace nella libertà e indipendenza. Una lotta per i nostri valori e le nostre democrazie, per la libertà e la capacità di scrivere da soli il nostro destino”.

Da questo incipit così solenne e impegnativo scaturisce, naturalmente, una convinzione che si trasforma in una missione: “una lotta per il nostro futuro”. Ma poi, se sfrondiamo il lungo ed apprezzabile testo dei tanti tasselli di un programma, approntato con la consueta abilità dagli sherpa bruxellesi (che includono, sul piano materiale, anche la piccola auto elettrica europea a prezzi contenuti, e sul piano morale, la storia di Sasha bambino ucraino rapito dai russi e della nonna Ludmjla) resta poco sul piano istituzionale.

Insufficienti al momento le risposte sul “che fare”, concretamente, per avvicinare tanti obiettivi, presentati per di più alla luce del postulato: “il mondo guarda all’Europa e l’Europa è pronta ad assicurare il ruolo di guida”. L’impegno istituzionale che aspettavamo non va troppo al di là di questo: “È arrivato il momento di liberarci delle catene della unanimità”. Finalmente! E ben proclamato, ma tutto da costruire, cominciando con l’onorare quanto poco prima affermato è troppo timidamente attuato, cioè “Il rispetto dello Stato di diritto è una condicio sine qua non per poter usufruire dei finanziamenti dell’Unione europea. Ora e in futuro”. Sarà suonato qualcosa all’orecchio degli inosservanti abituali: ungheresi, slovacchi, più altri di quando in quando?

Sergio Mattarella e il salto di qualità dell’Unione

Detto ciò, non solo per ragioni di nostalgia patriottica, vorrei adesso richiamare un passaggio ben più incisivo di un nobile – ut semper – discorso del nostro presidente Sergio Mattarella. Lo pronunciò nove anni fa in occasione di una Lectio trentina in onore e ricordo di Alcide De Gasperi europeista. L’essenziale era racchiuso in poche righe, che tra gli altri, pubblicò nel numero 1 del 2017 la nostra rivista “Appunti di cultura e politica”.

Mattarella rievoca quel momento cruciale contrassegnato, anche sul piano istituzionale, dal progetto di Trattato sulla Comunità europea (la Ced, 1954). De Gasperi si battè – perché in esso si scrivesse che l’assemblea parlamentare della nuovissima istituzione avrebbe agito come una specie di costituente europea per arrivare ad una proposta politica in senso federale. Il nostro presidente prosegue così: “Siamo ancora lontani da questo obiettivo, ma esso era e rimane l’unico storicamente valido. Viene da pensare con rammarico alla recente fatica della convenzione che ha portato, per gli insuccessi nei referendum francesi e olandesi, alla bocciatura della Costituzione europea e al successivo trattato di Lisbona, molto meno ambizioso. L’Unione europea non può ritirarsi dalle proprie responsabilità e il cosiddetto metodo intergovernativo nelle decisioni non può surrogare il valore democratico delle istituzioni europee, specie del Parlamento di Strasburgo. Tantomeno questo può avvenire dopo la decisione nel referendum britannico che richiede un rilancio dell’integrazione e non una sorta di appiattimento sulle resistenze che hanno condotto a quel risultato negativo. A sfide sempre più globali occorrono risposte politiche europee concordate a tutti i livelli. Sia il terrorismo, siano le crisi finanziarie, sia il tema dell’immigrazione nessun Paese è in grado di affrontarle da solo, soprattutto in Europa. Cornice repubblicana e cornice europea insieme sono quindi l’ambito più efficace dell’iniziativa dell’Italia contemporanea”.

Un nodo irrisolto, da affrontare con decisione

Attiro l’attenzione su quel giudizio del presidente della Repubblica – certamente da lui ben ponderato – e da me totalmente condiviso – per il quale il Trattato di Lisbona 2007/2009 tuttora vigente è molto meno ambizioso sul punto della via di una vera integrazione di quanto era contenuto nel progetto di Costituzione che disgraziatamente fu bocciato nel referendum francese del 2005, subito seguito da un analogo risultato negativo in Olanda.

Mettersi sulla via di un rilancio comunitario sarà faticoso, specialmente nell’epoca dei sovranismi sbandierati e dei nazionalismi trionfanti. Ma è il compito che i nostri giorni reclamano e che le nuove generazioni attendono. Anche il lavoro di preparazione, approfondimento e confronto non sarà facile, come ha messo bene in luce Maurizio Cotta. Le implicazioni di ordine giuridico, viste necessariamente dentro un sistema complesso, sono numerose ed intricate. Tuttavia, se la volontà politica dei popoli e dei governanti si muovesse davvero in direzione della imprescindibile necessità, oltre che utilità, di un’Europa davvero unita, gli ostacoli tecnici si possono superare.

(Foto di Mika Baumeister su Unsplash)

Parola chiave

  • Enzo Balboni

    Già professore di Diritto costituzionale, Università Cattolica di Milano.