Nel discorso di Sant’Ambrogio del 1996 dal titolo emblematico “Alla fine del millennio lasciateci sognare”, il Cardinale Martini concludeva con un augurio: «il nostro sogno non sarà allora evasione irresponsabile né fuga dalle fatiche quotidiane, ma aperture di orizzonti, luogo di nuova creatività, fonte di accoglienza e di dialogo». Si avvicina la fine dell’anno, tempo di sogni e speranze. Più prosaicamente del Cardinale, osservando il dibattito politico-parlamentare sulla riforma delle istituzioni (il cd. premierato) introdotta dal Governo, si potrebbe azzardare un sogno.
Di che si tratta? Che si ricominci daccapo. Che la maggioranza lasci cadere il progetto governativo nel quale l’elezione dei parlamentari è subalterna all’elezione del vertice dell’esecutivo, secondo un modello oggi non adottato a livello statale in nessuno stato democratico. E l’opposizione non abbia paura a confrontarsi. E rilanciare. Con l’obiettivo, condiviso, di raggiungere la maggioranza dei due terzi del Parlamento, mettendo fuori gioco il referendum confermativo. Infondo, la storia insegna, a tutto serve meno che a confrontarsi sulla Costituzione. Solo un sogno? Osservando da vicino la recente cronaca politica, a cominciare dalle dichiarazioni dal palco di Atreju del Presidente del Senato, parrebbe di si. Ma una “via di fuga” dal solito muro-contro-muro costituzionale potrebbe ravvisarsi nel recentissimo paper n. 94 della Fondazione Astrid, promosso tra gli altri da Amato, Bassanini, Luciani e altri costituzionalisti, tutti non a digiuno di dinamiche istituzionali. Si tratta probabilmente della più recente, articolata e seria proposta di «riformare, razionalizzare e ammodernare la forma di governo parlamentare adottata dalla Costituzione, che è peraltro la più diffusa in Europa”». Oltre che della più organica ed autorevole voce critica che si è levata contro la riforma del Governo.
Cosa si propone? Il modello di riferimento è l’esperienza costituzionale tedesca, che verrebbe trasposta sul nostro sistema introducendo da un lato la sfiducia costruttiva, ponendo un freno alle “crisi al buio”, e, dall’altro un rafforzamento del ruolo e dei poteri del Presidente del Consiglio. Come funziona? La nomina del premier resta prerogativa del Presidente della Repubblica, ovviamente, valutati i risultati delle elezioni e consultati i gruppi parlamentari. Ma si rafforza il suo potere immaginando che il Parlamento – in seduta comune – gli dia la fiducia prima della nomina dei Ministri. Forte del rapporto di fiducia bilaterale con il Parlamento, il capo del governo acquista la legittimazione costituzionale (ma anche politica) per scegliere – e revocare – i Ministri, divenendo quindi colui che determina la politica del Governo, essendo l’unico ad avere il rapporto di fiducia con il Parlamento. Non cessa il potere del Parlamento di sfiduciare il premier (sempre in seduta comune) ma ciò può avvenire solo indicando contestualmente a maggioranza assoluta al Capo dello Stato un nuovo Presidente del Consiglio. In caso di altre crisi di Governo (dimissioni del premier o rigetto di una questione di fiducia), la proposta prevede lo scioglimento delle Camere ad opera del Presidente della Repubblica, salvo che il Parlamento (ancora, in seduta comune), entro un termine determinato, non reiteri la fiducia al premier dimissionario o non indichi un nuovo Presidente del Consiglio «con una sorta di “voto di fiducia costruttivo”».
Questo, il cuore della proposta degli studiosi di Astrid, che tocca nella parte finale anche altri aspetti di rilievo, tra cui la legge elettorale e le linee guida per una regolamentazione dei partiti.
Più forte il premier, più forte il Governo, più forte il Parlamento. E lì, vigile, il Presidente della Repubblica. Si potrebbero sintetizzare così (non si offendano i redattori) le 79 pagine del paper. Un lavoro già pronto per chi avesse il coraggio, in Parlamento, di lanciare un guanto di sfida e provare a catalizzare consensi su una proposta alternativa. In alternativa, solo un sogno di fine anno.