“Viviamo un periodo di profonda ansia e incertezza per gli europei. Le famiglie soffrono per il costo della vita e degli alloggi. I giovani sono preoccupati per il pianeta, il futuro e la prospettiva della guerra. Le aziende e gli agricoltori si sentono schiacciati. E tutto questo è sintomo di un mondo in cui tutto è utilizzato come arma e contestato”. Giusto un anno fa, intervenendo davanti al Parlamento europeo a Strasburgo, Ursula von der Leyen usava queste parole nel suo discorso con il quale chiedeva la fiducia all’emiciclo. “Il tempo dell’incertezza” è stato, da lì in poi, il refrain al quale ha fatto ricorso più e più volte per provare a spiegare le mosse – o a giustificare l’immobilismo – del collegio da lei presieduto. Anzi, da lei comandato. Perché una delle obiezioni che le si rivolge da tempo riguarda le modalità con le quali lavora la Commissione, dove le principali decisioni pare vengano assunte a porte chiuse, con l’ausilio di pochi confidenti.

Scivolone sul bilancio pluriennale

È accaduto ancora di recente, per la definizione e presentazione del Quadro finanziario pluriennale (Mff la sigla inglese) da duemila miliardi. Un tentativo di innovare risorse e gestione dei fondi del bilancio 2028-2034, finito però nel mirino di tutti. Von der Leyen e il suo “giro” sono infatti riusciti a sollevare lo scontento di una gran parte dei governi dei Paesi membri (compreso quello della sua Germania), della maggioranza dei gruppi politici all’Eurocamera, delle Regioni, del Comitato economico e sociale, di innumerevoli voci europee dell’impresa, dell’agricoltura, dei sindacati, dei consumatori… È pur vero che di fronte a qualsiasi cambiamento proposto oggigiorno da una qualsiasi parte politica si sollevano lobby o interessi vari e parte il fuoco di fila dei social. Ma alcune delle immaginate innovazioni sul versante del bilancio comunitario hanno generato perplessità a 360 gradi: non sarà un caso.

In archivio riforme e Green deal

Senza entrare nel merito del Qfp, si può ben dire che dal suo esordio sulla scena europea, nell’estate 2019, ad oggi, Ursula von der Leyen ha perso per strada molti sostenitori soprattutto per le svolte, e giravolte, impresse alla sua stessa linea politica. La presidente della Commissione all’inizio del suo mandato prometteva riforme istituzionali per rendere più snella ed efficace l’azione dell’Ue e metteva al primo posto del suo programma il Green deal per contrastare il cambiamento climatico; oggi è percepita – vero o non vero – come la guida di un esecutivo asservito alla volontà dei governi (divisissimi fra loro) che in maggioranza puntano a riarmo e difesa, rialzano le barriere contro i migranti, non trovano unità in politica estera per contrastare le incredibili sortite di Donald Trump (basti pensare ai dazi), mentre non hanno il coraggio di affermare, all’unisono, che a Gaza è in corso un genocidio.

Contraddizioni e passi indietro

Il quadro è certamente complesso e ci si muove, appunto, nella più assoluta incertezza. Anche perché in Europa non si vedono leadership nazionali forti, tali da poter sostenere l’esecutivo e imprimere una marcia in più all’Ue: Macron è politicamente debole, Merz tentenna, Meloni crede di contare in Europa, ma alla prova dei fatti non cava un ragno dal buco. Così Ursula von der Leyen ha dovuto riproporre proprio il tema dell’incertezza per difendersi dalla mozione di censura presentata al Parlamento di Strasburgo, contro di lei e la sua Commissione, dal conservatore rumeno Gheorghe Piperea. Votata durante la sessione plenaria di giugno, la mozione, come ampiamente previsto, non è passata: i votanti sono stati 553 (su 720 eurodeputati; molti coloro che hanno pilatescamente deciso di non esprimersi), 360 i contrari alla mozione, 175 i sì, 18 gli astenuti. Nelle intenzioni degli stessi proponenti (il gruppo dei Conservatori in proposito si è spaccato in due) c’era più che altro la volontà di fare le pulci alla Von der Leyen e alle modalità con le quali aveva affrontato, nell’emergenza, la questione dei vaccini anti Covid (Pfizergate). Ma dal dibattito tenutosi in aula prima del voto sono emerse tutte le contraddizioni che la politica tedesca ha accumulato in questi anni e, soprattutto, dall’inizio del secondo mandato, con una deriva a destra sempre più marcata.

L’ormai ex “maggioranza Ursula”

Non è superfluo notare che contro la mozione di censura, e dunque a favore della Commissione, ci sono stati 360 voti, esattamente la metà degli europarlamentari: al momento dell’ultima fiducia la Von der Leyen aveva avuto 370 consensi. Oggi può contare, di fatto, solo sulla metà dell’emiciclo, con un rimescolamento dei voti, spostatisi verso destra. In questo senso il dato politico più rilevante emerso grazie alla mozione Piperea riguarda l’eclissarsi della “maggioranza Ursula”. Popolari, Socialisti e democratici, Liberali, con l’aggiunta dei Verdi, che avevano accordato lo scorso anno la fiducia a Von der Leyen ora appaiono fortemente divisi. L’unico gruppo politico fra questi che ora sostiene apertamente la Commissione è il Ppe, ovvero il partito della presidente della Commissione. Dubbi sul suo operato sono stati sollevati da Socialdemocratici e Liberali; i Verdi sono quasi sempre contrari alle proposte politiche e legislative del Collegio. Il quale, invece, piace sempre di più alle forze sovraniste.

Difesa e riarmo in primis

In effetti Von der Leyen ha compiuto evidenti torsioni politiche in questi anni. Il Green deal è stato indebolito, a tratti annullato: la lotta al cambiamento climatico e la difesa dell’ambiente non figurano più in cima all’agenda della Commissione. Le pressioni esercitate da alcuni governi (italiano compreso), dal mondo agricolo, dai produttori di auto e altri settori economici hanno sortito effetto. Sulle migrazioni la linea intrapresa appare di chiusura progressiva tra difesa delle frontiere, hub esterni e rimpatri. La Commissione – che obiettivamente ha dovuto navigare in tempi problematici: oggi la guerra russa in Ucraina e i dazi di Trump, ieri il Covid e la crisi sanitaria ed economico-sociale che ne era seguita – sta sposando senza indugi la linea del riarmo e il sostegno all’industria bellica (con un progetto ReArm-Readiness 2030 da 800 miliardi, tutti a debito, da spendere per rafforzare gli eserciti nazionali senza porre le basi per una reale difesa europea che richiede, invece, una politica estera e di difesa comune).

Si procede a tentoni

Su tutti questi temi s’imporrebbe una riflessione, non nuova, circa il ruolo della Commissione in relazione alle altre due istituzioni comuni, Consiglio e Parlamento, dove si misurano – come detto – gli effetti del possente vento nazionalista che attraversa il continente. Così la posizione di Ursula von der Leyen si è fatta sempre più precaria, costretta a procedere sulle sabbie mobili dei conflitti diffusi, delle minacce di Putin, dei massacri a Gaza, delle sortite incoerenti e antieuropee del presidente degli Stati Uniti, delle pressioni cinesi. L’instabilità generale, unita ai chiaroscuri economici, non aiuta chi è chiamato ad assumere quotidianamente decisioni di assoluto rilievo. Ma è pur vero che in questo procedere a tentoni diventa impossibile intravvedere una visione di futuro, proprio nel momento in cui ci sarebbe maggior bisogno di un’Europa unita, coesa, protagonista sulla scena globale.

È possibile fare la differenza?

La prova del nove potrebbe giungere a settembre, quando Von der Leyen sarà chiamata a presentare all’Europarlamento – e dunque ai cittadini europei e ai loro rappresentanti politici – il “Discorso sullo stato dell’Unione”. Miracoli non se ne vedranno, questo è certo. Eppure, Von der Leyen potrebbe lanciare segnali di cambiamento, tornando su una linea di reale integrazione politica ed economica, per un’Europa moderna e aperta, indicando un rinnovato programma d’azione e almeno alcune riforme credibili, cercando la sponda di quella parte, ancora maggioritaria, dell’Europarlamento, che insiste a definirsi “europeista”. Diversamente rimarrebbe imbrigliata in un Consiglio europeo a trazione nazionalista che non le consentirà né di assumere decisioni coraggiose all’interno dell’Ue né di difendere l’Europa sulla scena internazionale, in balìa dei vari Trump, Putin, Netanyahu, Hamas, Erdogan, Xi Jinping, nemici dichiarati dell’Unione europea. Von der Leyen è a un bivio: a lei scegliere se provare, o meno, a fare la differenza.  

(Foto: commons.wikimedia.org)

  • Giornalista del Sir, inviato presso le istituzioni europee.