Il testo delle nuove Indicazioni nazionali per il curricolo. Scuola dell’infanzia e scuole del primo ciclo,recentemente reso pubblico, sta suscitando grandi perplessità e le critiche provengono da un fronte molto ampio. Al testo si rimprovera di essere simile ai vecchi Programmi di un tempo, prescrittivo e omologante, poco rispettoso dell’autonomia scolastica. Soprattutto, lo si vede portatore di una idea di scuola anacronistica e caratterizzato da una forte intenzionalità ideologica.
Intervenendo al Senato, il ministro Valditara, ha così motivato la scelta di cambiare le Indicazioni 2012: “Negli ultimi decenni si sono affermate tendenze pedagogiche e culturali che sono, a nostro avviso, all’origine del decadimento di alcune conoscenze. Si è sentito parlare di spontaneismo espressivo, vi è stata una sottovalutazione dell’importanza della grammatica e della sintassi, […] sparita la memorizzazione delle poesie, spazio marginale ai riassunti, poca attenzione alla calligrafia, soprattutto la marginalizzazione della storia dell’Occidente […] Ora, grammatica e sintassi servono per capire e per farsi capire, esprimono la cultura della regola. […] L’Occidente, la storia dell’Occidente, per capire da dove veniamo, chi siamo e dove vogliamo andare, valorizzando princìpi importanti come la democrazia, la libertà, l’umanità, la buona fede, l’equità, che sono grandi princìpi valoriali dell’Occidente” (Question Time, 20 marzo 2025).
Guardare al futuro con gli occhi del passato
Le nuove Indicazioni si propongono una missione ambiziosa, un vero cambio di paradigma. Confrontando le Indicazioni 2012 con queste ultime, 2025, emerge la profonda distanza. L’introduzione di quelle del 2012 è dedicata a ripensare il compito della scuola di fronte alle sfide della complessità e dell’interdipendenza planetaria degli uomini come delle nazioni. La centralità della persona dello studente è il punto di riferimento per l’elaborazione del curricolo. Lo sviluppo personale è, al tempo stesso, apertura alla dimensione sociale; la promozione di tutte le dimensioni della persona avviene dentro le relazioni interpersonali e interculturali delle quali è intessuta la vita di una classe o di una scuola. Lo stesso concetto di cittadinanza si fa più articolato e più impegnativo, comprendendo non solo la dimensione locale o nazionale, ma quella europea e mondiale.
Anche nella Premessa delle Indicazioni 2025 la centralità della persona viene richiamata, anzi enfatizzata, ma, mentre si spendono molte parole per esaltare il valore (indiscutibile) della libertà dell’individuo, è labile il richiamo al valore della solidarietà, ed è molto impoverito il riferimento alla dimensione della cittadinanza. La realtà multiculturale che caratterizza, talvolta in maniera marcata, la composizione delle classi e alla quale le Indicazioni 2012 danno molta attenzione, nelle nuove Indicazioni è letta sbrigativamente, attraverso le lenti di un approccio assimilazionista. Il riferimento all’inclusione riguarda esclusivamente gli alunni con disabilità.
Nelle Indicazioni 2012 si afferma: “Non dobbiamo dimenticare che fino a tempi assai recenti la scuola ha avuto il compito di formare cittadini nazionali attraverso una cultura omogenea. Oggi, invece, può porsi il compito più ampio di educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente. La finalità è una cittadinanza che certo permane coesa e vincolata ai valori fondanti della tradizione nazionale, ma che può essere alimentata da una varietà di espressioni ed esperienze personali più ricca che in passato” (p. 10).
Ben diversa è la prospettiva delle nuove Indicazioni, attraversate da una forte istanza identitaria, declinata in salsa nazionalistica, italocentrica, collocata dentro un orizzonte ristretto, i cui contorni sono dati da una idealizzata “cultura dell’Occidente”.
Sul piano pedagogico traspare la volontà di ritornare ad una scuola finalmente “seria”. Si spendono parole importanti nei confronti dell’insegnante, con l’evidente preoccupazione di ribadirne l’autorevolezza. Se ne sottolinea la dimensione non solo di professionista, ma di Maestro (con la M maiuscola), si dice che è “magis”. Lo si vuole in cattedra, “modello” da seguire, figura alta ed esemplare. Addirittura, ci si inventa un detto latino, ricavandolo da uno più noto: “maxima debetur magistro reverentia”.
La scuolaviene intesacome luogo di trasmissione delle conoscenze, anzi, il cambio di paradigma rivendicato consisterebbe proprio in questo: rimettere le conoscenze al centro dell’insegnamento. “La scuola è la sede principale della trasmissione delle conoscenze”, si legge nella Premessa. Oppure, in maniera ancora più esplicita, anche se con riferimento all’insegnamento della lingua italiana: “Il cambio di paradigma delle Indicazioni attraversa soprattutto la disciplina Italiano, riportando al centro dell’apprendimento la ricerca e la valorizzazione dei meccanismi strutturali che regolano il funzionamento della lingua, spiegano l’esistenza e la gerarchia delle ‘regole’, e dimostrano l’importanza della sintassi, distinguendosi da concezioni che esaltano un’idea di lingua come fenomeno spontaneo, sopravvalutando le varietà d’uso e la creatività del soggetto” (p. 34). Quest’ultima citazione è particolarmente interessante. Non solo ribadisce la centralità attribuita ai contenuti, e quindi al compito trasmissivo della scuola, ma evidenzia una gerarchia all’interno della stessa disciplina Italiano, che vede le regole prevalere su ogni altra dimensione, mettendo al riparo la grammatica da ogni pericolosa intrusione della fantasia, ingabbiando sul nascere spontaneità, creatività, gioia di esprimersi.
L’impostazione trasmissiva e direttiva è la cifra della didattica delle nuove Indicazioni. L’imitazione del maestro, la narrazione come grande, affascinante strategia didattica, l’utilizzo dell’insegnamento della storia in funzione patriottica e edificante, il ritenere che l’alunno vada sempre “opportunamente guidato”… tutto questo propone una visione della scuola che riporta ad altre stagioni.
Dalla scuola dell’apprendimento alla scuola dell’insegnamento
Lo studioso scozzese D. Lawton individua nella storia della didattica un moto pendolare, continuamente oscillante dal polo del “classicismo”, focalizzato sull’insegnamento, sui contenuti e sulla loro trasmissione, al polo del “romanticismo”, centrato sull’apprendimento, con l’enfasi sul protagonismo dell’alunno (cfr. Programmi di studio ed evoluzione sociale, Armando, Roma 1976).
Utilizzando questa suggestione, possiamo dire che, in controtendenza con gliattuali orientamenti della ricerca educativa, e perfino con le richieste di una società e di un’economia in trasformazione, che spingono verso il polo dell’apprendimento, il testo delle nuove Indicazioni torna a riportare il pendolo nella direzione del passato. Il tipo di scuola prospettato appartiene a quello cheK. Sawyerchiama “Modello standard”, modello che riflette un senso comune diffuso, ma che è oggi è considerato improponibile (in Apprendere e innovare, il Mulino, Bologna 2011). Si tratta di untipo di scuola, che si organizza a prescindere dagli alunni e che chiede loro soprattutto di seguire un percorso già dato, e di camminare compatti sul passo scandito dall’insegnante e dal suo programma, di raggiungere obiettivi predefiniti, di rispondere ad attese preconfezionate. Siamo nella scuola“dell’insegnamento”, non in quella “dell’apprendimento”, nella quale, al contrario, l’impostazione didattica si capovolge, gli studenti da destinatari diventano protagonisti, e i docenti da trasmettitori diventano facilitatori e accompagnatori dell’itinerario di scoperta e costruzione delle conoscenze che saranno gli alunni a percorrere.
Tutto sbagliato, tutto da rifare? Nonostante l’enfasi messa dal ministro e dai suoi collaboratori, le novità del nuovo testo delle Indicazioni non riguardano gli obiettivi di apprendimento, che in larga parte, sebbene riformulati, rimangono quelli delle Indicazioni del 2012. Nel centinaio di pagine che compongono il testo non mancano aspetti condivisibili, singole parti che si possono apprezzare. Ma questi frammenti di testo subiscono la mortificazione del contesto, e finiscono per sembrare fuori luogo. Verrebbe da dire che le Indicazioni del ministro Valditara contengono cose buone e cose nuove. Ma le cose buone non sono nuove, e le cose nuove non sono buone.
Le Indicazioni 2025, volute per creare una discontinuità con la cultura pedagogica di una scuola considerata troppo amorevole e poco autorevole, troppo preoccupata della cittadinanza globale e poco di quella nazionale, troppo attenta a promuovere competenze trascurando le conoscenze, si presentano come una strana creatura, un po’ Programma nazionale, per l’eccesso di prescrittività e l’enfasi posta sui contenuti, un po’ Guida didattica, per la minuziosità dei tanti, fin troppo dettagliati suggerimenti e per il tono paternalistico utilizzato. E appaiono, soprattutto, un manifesto ideologico divisivo. “Back to the Future”? Se volevano guidare la scuola nel futuro, queste Indicazioni procedono guardando nello specchietto retrovisore.
N.B.: il presente testo anticipa quanto verrà pubblicato in forma più estesa nel n. 3/2025 di «Appunti di cultura e politica»