Anche dopo la sua morte, Berlusconi non smette di dividere. Uomo e politico controverso. Amato o detestato. Si pensi alle sue solenni esequie e alla loro eco mediatica senza paragoni, ma si pensi anche al fastidio e alle polemiche da esse suscitate per un tono celebrativo da più parti giudicato sproporzionato e imbarazzante. Se si vuole, in coerenza con il personaggio. Uomo debordante, incline agli eccessi e alla dismisura, privo del senso del limite. A cominciare dai propri limiti. “Egolatra”, lo definì quel giurista geniale e raffinato che rispondeva al nome di Franco Cordero. Per lui si sono celebrati funerali di Stato e, per norma e tradizione, trattandosi di un ex premier (quattro volte), i funerali di Stato ci potevano stare. Assai più discutibile, per una figura tanto controversa, il lutto nazionale, non a caso deliberato in via discrezionale con una circolare del governo. Nelle controversie seguite alle esequie è incappato anche il celebrante del rito, l’arcivescovo di Milano Delpini, la cui omelia è stata letta e interpretata nei modi più diversi e persino opposti. Forse studiatamente.

Il caso ha voluto che, a distanza di poche ore, in quel di Bologna, si sia celebrato il funerale di Flavia Franzoni, per 54 anni fedele compagna di Romano Prodi, e che, in quelle esequie, si sia avuta la rappresentazione plastica di due Italie che non potrebbero essere tra loro più diverse. Nella vita prima che nella politica, che, per quasi un ventennio, aveva opposto i due attori-protagonisti del bipolarismo italiano.

Nel giudizio, ripetiamo, decisamente controverso sul Cavaliere tuttavia su un punto si può convenire: egli è stato un combattente. Giuste o sbagliate che siano state le sue battaglie. Gli va riconosciuto. E’ la ragione per la quale non gli rendono un buon servizio, di più, gli fanno un torto, gli adulatori che lo rappresentano come un santino. O anche i commentatori in passato meno indulgenti che, dopo la sua scomparsa, hanno ceduto a un registro celebrativo, inibendosi ogni accento critico. E’ questa la ragione per la quale non ci pare fuori luogo, anzi, crediamo sia più onesto verso la realtà, più rispettoso per la persona e la sua tempra di combattente, riproporre qui di seguito l’abbozzo di bilancio – decisamente critico – della parabola politica di Berlusconi che postammo un paio di mesi fa su queste pagine, quando si confidava che egli potesse venire a capo della sua malattia. Senza cambiare nulla.

 

Se non si trattasse di Berlusconi suonerebbe irriguardoso anticipare un bilancio della sua singolare avventura politica nel mentre egli combatte contro la sua malattia. Ma ci si sente autorizzati a farlo per più ragioni: le ultime notizie sul suo stato di salute sembrano confortanti; egli ha condotto la vita intera esposto al pubblico, di più, attirando i riflettori su di sè; è opinione da tutti condivisa – specie dai suoi sodali – che il partito da lui fondato, Fi, sia tutt’uno con lui, ne condivida la sorte e, in ogni caso, fuor di ipocrisia, egli non potrà più dedicarvisi attivamente; tale circostanza sta già producendo effetti sul sistema politico. Si pensi solo agli equilibri interni alla maggioranza e ai tormenti delle sigle che si agitano a cavallo dei due principali schieramenti.
Nell’abbozzare un bilancio, è saggio distinguere i molteplici profili di una personalità esuberante, debordante, ingombrante che ha occupato la scena pubblica per quasi mezzo secolo, dividendo come pochi altri gli italiani tra estimatori e detrattori. Persino tra fan e odiatori. Anche a motivo della sua invincibile inclinazione a sedurre e a non darsi pace (e neppure a darsi ragione) di non piacere a tutti.
Secondo una vecchia massima, nell’origine si annidano la natura e il destino di ciascuno. Nel caso del Cavaliere, all’inizio stanno due cose: l’opacità dell’origine delle risorse finanziarie che poi, grazie anche alla sua indubbia abilità, ne hanno fatto la fortuna; il decollo delle sue tv, volano di tutte le sue variegate attività, grazie allo strappo alle regole vigenti e alle protezioni politiche. In primis la celebre legge Mammì. Una vera svolta nella sua vicenda imprenditoriale prima e politica poi, propiziata da Craxi e Andreotti, che sortì le polemiche dimissioni di cinque ministri della sinistra Dc, tra i quali Mattarella. Con essa, Berlusconi acquisì il monopolio delle televisioni commerciali. Una rendita di posizione mai più intaccata nella sostanza e che fu decisiva per le sue attività economiche e per la sua avventura politica. Alle suddette tv si deve una sorta di egemonia culturale – altro che egemonia culturale della sinistra – un decisivo contributo a forgiare mentalità, senso comune, abitudini, comportamenti. Ove evidentemente cultura va intesa in senso antropologico e non elitario, cioè circoscritto al pensiero riflesso in capo a quanti a vario titolo esercitano professioni intellettuali. Una visione edonistica e mercatista della vita e delle relazioni per la quale tutto e tutti possono essere comprati. Una visione refrattaria alle regole e che si nutre del mito del successo ultimamente economico.
Sul versante politico, ciò ha generato un soggetto e un progetto genuinamente populista secondo una versione che potremmo definire mediatica e patrimoniale. Una variante del populismo che ha fatto scuola nel mondo. Solo dopo parecchi anni, abbiamo conosciuto Trump che, in versione iperbolica, evoca quel modello di imprenditore-tycoon-politico anticipato in Italia.
Non ha torto chi attribuisce al Nostro la responsabilità – merito o colpa che sia – di avere propiziato il bipolarismo. Mostrando di essere il più abile e pronto a profittare di una legge elettorale maggioritaria partorita sulla spinta dei referendum elettorali di Mario Segni e a occupare il vuoto politico prodottosi con la traumatica estinzione di Dc, Psi e satelliti centristi. Ma al prezzo di non poche criticità. Solo per titoli: l’uso strumentale dell’anticomunismo ben oltre il collasso del comunismo internazionale e la chiusura del Pci nostrano; la creazione di una destra niente affatto liberale, semmai populista e libertaria; l’insofferenza alle regole sino al limite di farsi legge a se stesso confezionando leggi speciali (ad personam e ad aziendam) a difesa dei suoi interessi e per venire a capo dei propri guai giudiziari; su tutto il macigno del conflitto di interessi in capo a un monopolista tv ovvero la “roba” (le aziende) come stella polare tenacemente presidiata in tutti e singoli gli snodi della vicenda del suo partito personale, non senza una complicità omissiva di settori della sinistra. Celebre e clamorosa la “confessione dell’inconfessabile”, nell’aula di Montecitorio, da parte di Violante, all’epoca – 28 febbraio 2002 – capogruppo Ds: “Berlusconi sa, sin dal 1994, che gli fu data piena garanzia che le sue tv non sarebbero state toccate”. Sarebbe interessante conoscere il soggetto nominativo, personale o politico, di quel “gli” che avrebbe dato al Cavaliere “piena garanzia” di una imperdonabile omissione.

 

Al Cavaliere va altresì imputata la responsabilità di avere rappresentato un tappo che ha impedito una evoluzione della destra in senso conservatore e liberale. Sempre rifiutandosi di passare la mano. Capace nel condurre campagne elettorali – grazie ai mezzi finanziari e mediatici a sua disposizione – ma del tutto inadeguato come uomo di governo.
Oggi ci si interroga sul destino dei voti residui di Fi, ma gli analisti sostengono che essi – non più molti in verità – già sono finiti e ancor più finiranno nel carniere di Meloni. Improbabile transitino verso soluzioni terziste. Il Terzo Polo di Calenda e Renzi, già deflagrato di suo, è solo l’ultimo delle decine di esperimenti orientati in tal senso e puntualmente falliti da trent’anni in qua dopo la fine della Dc. Anche a motivo della relativa omogeneità dell’elettorato di centrodestra incline sì a una mobilità tra partiti ma tutta interna al medesimo campo. Che è il suo vantaggio competitivo rispetto all’elettorato di centrosinistra decisamente meno omogeneo e incline al frazionismo.
Mi sia consentito un cenno personale. La mia non breve esperienza politico-parlamentare è coincisa con la stagione del berlusconismo imperante. Per questo reagisco alla facile, corriva polemica retrospettiva contro gli asseriti errori di un antiberlusconismo bollato come cieco e ossessivo. Quasi che gli strappi a legalità e tessuto costituzionale ce li fossimo inventati noi e che sia stata una colpa adoperarsi per contrastarli. Che altro potevamo fare? Potevamo abbozzare a fronte dei ripetuti attacchi portati ai capisaldi della nostra democrazia costituzionale? Quasi ogni giorno, portandosi in parlamento, puntualmente avevamo riscontro dell’ipoteca del conflitto di interessi sulla quotidiana agenda delle priorità nei lavori parlamentari. Per le istituzioni una umiliazione, per noi una frustrazione e un motivo di sdegno. Con il rischio dell’assuefazione, come fosse cosa normale. Sino al limite estremo della vergogna di un parlamento che, a maggioranza, con un voto d’aula, mise il sigillo sulla grottesca bufala della nipote di Mubarak. Solo il vertice del discredito internazionale procurato al nostro paese dai comportamenti privati e pubblici dell’italiano più noto al mondo. Un paese, il nostro, già di suo vittima di atavici pregiudizi. Un paese giudicato poco serio e dunque inaffidabile.
Chi ha conosciuto quella stagione (più lunga del ventennio) non può non reagire di fronte alla narrazione che ha fatto breccia negli ultimi anni. Quella di un Berlusconi moderato, liberale, cristiano. La sua rappresentazione come argine al populismo, come un leader in grado di accreditare la destra presso l’Europa, come un erede di De Gasperi. Sic. Di sicuro non moderato, semmai estremista; liberale proprio no, al più libertario e comunque un monopolista; cristiano poi suona blasfemo. Non solo e non tanto per i suoi comportamenti, ma per avere impresso una vertiginosa accelerazione al processo di scristianizzazione del paese. Resta semmai l’interrogativo, denso di implicazioni pastoralmente imbarazzanti, di come tanti buoni cristiani non abbiano avvertito tale palmare evidenza.

Un bilancio severo? Ebbene sì. Lo confesso: non mi riesce di scorgere un solo profilo positivo. Né sul piano politico, né tantopiù sul piano della cultura e del costume. Poi, certo, oggi che il suo potere e la sua influenza sono sensibilmente scemati, possiamo permetterci di essere più indulgenti e magari di sorridere nel ricordo delle gesta di un uomo che, diciamo così, per lunghi anni ci ha tenuto compagnia, occupando le nostre conversazioni familiari e amicali. Possiamo concedercelo. Ma non è motivo sufficiente per alterare la verità dei fatti e la sostanza del nostro giudizio.

[on line il 20 aprile 2023]

(Foto wikicommons: Silvio Berlusconi negli anni ’80)

 

 

  • Franco Monaco

    Pubblicista, già presidente dell’associazione «Città dell’uomo» e parlamentare della Repubblica; fa parte del gruppo di coordinamento della rivista web Appunti di cultura e politica.